Alla fine il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha capitolato. La Tav, nel tratto Torino – Lione, la bretella che dovrà congiungere l’Italia ad uno dei grandi corridori europei (dalla Spagna a Kiev) si farà. Non sarà un “nuova via della seta”, ma un’infrastruttura importante in grado, una volta terminata, di avvicinare ulteriormente parti lontane dell’Europa. Chi ha dimestichezza con il traffico ferroviario europeo ne conosce le arretratezze sistemiche. Da questo punto di vista, l’esperienza delle Ferrovie italiane costituisce, ancora, un must inarrivabile.
LA SCELTA DI CONTE
Decisione indubbiamente sofferta quella del presidente del Consiglio. Mille patemi d’animo ed altrettante incertezze. Dichiarazioni contrastanti nel tempo: dal primitivo iniziale rifiuto, sulla scorta di analisi un po’ cervellotiche, come lo schema edulcorato “costi – benefici”, al successivo assenso. Motivato, in modo tale, da limitare i danni nei confronti della propria controparte politica. Annullare il tutto, costerebbe troppo. Gli svantaggi sarebbero decisamente superiori ai ritorni dell’operazione. Cosa nota da sempre, ma che solo ora è presa nel debito conto. Se la speranza era quella di ridurne l’impatto negativo su una schiera di militanti imbufaliti, i conti non sono destinati a tornare.
CAPORETTO A 5 STELLE
Una volta tanto non si può che essere d’accordo con l’editoriale di Marco Travaglio, dalle colonne de il Fatto. È stata una Caporetto. “La più cocente sconfitta mai subita da 5 Stelle in dieci anni di vita. Molto peggio dei rovesci elettorali delle Europee del 2014 e del 26 maggio scorso. Molto peggio del voto suicida per salvare Salvini dal processo Diciotti”. Il segno evidente di un tradimento. “Il Movimento – continua Travaglio – era No Tav ancor prima di nascere” (affermazione pericolosa visti gli ultimi atti di sabotaggio alle linee ferroviarie) “Beppe Grillo già negli anni ‘90 sposò la sacrosanta battaglia del popolo della Val di Susa contro l’opera più demenziale, anacronistica, inquinante, dannosa e costosa d’Europa”. Amen: verrebbe da dire.
L’imbarazzo è evidente. Che resta infatti dell’orgoglio di un Movimento che era convinto di rovesciare, come un guanto, la storia del Paese. Di imporre la gogna nei confronti di una vecchia classe dirigente, che ai loro occhi, era composta solo di “parassiti” ed imbroglioni. Di celebrare la “decrescita felice” nel ritorno verso un Eden primordiale. Dove la fatica del lavoro è sostituita dall’elargizione del principe. Il merito, che nasce dall’impegno individuale, una cattiva abitudine da bandire. E dove tutto si risolveva indossando gli occhiali da presbite. Quelle teorie stravaganti sulla “fine del lavoro” grazie alle nuove tecnologie, che sarà pure un possibile approdo futuro. Ma un futuro che apparterrà, semmai, a generazioni ancore non nate.
L’ANNUS HORRIBILIS DEL M5S
E mentre la fantasia, come nel lontano ‘68, tornava al potere, l’Italia sprofondava. La curva della crescita, convessa fino alla metà del 2018, diveniva concava. Gli squilibri nella distribuzione del reddito invece di ridursi, aumentavano. Lo stesso reddito di cittadinanza, che doveva “sconfiggere la povertà” (baldanza di Luigi Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi), si dimostrava essere quello che era: un pannicello caldo. Incapace di contrastare l’effetto negativo della mancata crescita. Che è poi il vero antidoto contro il malessere sociale. Intanto Roma sprofondava nel mare dei rifiuti. Strade in dissesto e caos amministrativo, segnato da piccoli furti quotidiani, come mostra l’inchiesta sulle forniture di benzina per l’autoparco comunale. E Torino non era da meno, nel dimostrarsi incapace di partecipare a quei grandi eventi (le Olimpiadi invernali ed il salone dell’auto), che potevano dare smalto ad un città da tempo in crisi.
Politica nazionale e gestione amministrativa: due crisi diverse, ma con un comune denominatore: l’incapacità di avere una visione all’altezza del tempo presente. Lo Zeitgeist, come dicono i tedeschi, nel cui perimetro i 5 stelle non sono mai entrati. Hanno avuto la loro grande occasione, cavalcando la giusta rabbia degli italiani contro i limiti di una vecchia politica. Ma li hanno fatti cadere dalla padella alla brace. Dimostrando, sul campo, tutti i loro limiti. Di cui l’annuncio di Giuseppe Conte altro non è che una presa d’atto finale. Tardiva e sconsolata. Ma, inevitabilmente, scontata.