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L’hackeraggio di Mosca alle elezioni Usa? Più ampio di quanto immaginato. Il report del Senato

L’hackeraggio del 2016 contro le infrastrutture elettorali americane, attribuito a Mosca, fu più esteso di quanto finora riconosciuto dalle autorità federali. In un report pubblicato nelle scorse ore la commissione Intelligence del Senato degli Stati Uniti ha corretto al rialzo la vastità dell’azione dei pirati informatici russi, che avrebbe toccato 50 Stati Usa, in pratica la totalità.

IL REPORT DELLA COMMISSIONE

Su richiesta dei servizi segreti, la commissione ha celato le sue scoperte con alcuni omissis. Ma il rapporto – scrive il New York Times – è chiaro nel definire che “il governo russo ha diretto una vasta attività, a partire da almeno il 2014 e portata avanti almeno fino al 2017, contro le infrastrutture elettorali statunitensi a livello statale e locale”. Tralasciati, invece, aspetti già approfonditi in altri report, come i tentativi di interferenze e disinformazione condotti attraverso i maggiori social media o sui media legati al Cremlino.

UN TEMA RILEVANTE

Il tema della vulnerabilità delle “infrastrutture elettorali” è da tempo considerato di crescente importanza, tanto da aver spinto l’amministrazione e il dipartimento per la Sicurezza nazionale – responsabile della protezione delle infrastrutture critiche – a investire risorse ingenti e a stabilire meccanismi di cooperazione tra autorità federali e enti dei singoli stati.

Solo il giorno prima la diffusione del report, l’ex procuratore speciale che ha indagato sul Russiagate, Robert Mueller, ha testimoniato davanti alle commissioni della Camera, avvertendo che Mosca avrebbe continuato i suoi sforzi di interferenza anche in futuro (una valutazione condivisa anche dall’attuale numero uno del Fbi, Christopher Wray).

LE INTERFERENZE

Dopo le elezioni del 2016, la Russia, avrebbe tentato anche di condizionare le recenti Midterm di fine 2018. E nell’occasione, Washington, e in particolare il Cyber Command, con il supporto di informazioni di intelligence, “spensero” l’Internet Research Agency (Ira), la “fabbrica dei troll” di San Pietroburgo ritenuta dai servizi segreti americani l’epicentro delle campagne di influenza condotte a suon di fake news che vengono attribuite a Mosca dagli Usa.

Nel report finale diffuso al termine dell’inchiesta sul Russiagate, si pone in rilievo – come detto – l’assenza di ogni dubbio circa un ruolo attivo dei Mosca in quella tornata elettorale. Ma ben prima della conclusione dell’indagine, l’amministrazione Usa guidata da Donald Trump, proprio a seguito di quanto emerso dall’inchiesta, aveva imposto nel 2018 nuove sanzioni a 19 soggetti russi, in particolare nei confronti di due agenzie di intelligence della Federazione insieme con l’Ira, oltre che a 13 cittadini e business che rientravano nella lista delle incriminazioni spiccate da Mueller.

Del resto, sulle interferenze di Mosca negli Usa, dichiarazioni e report si susseguivano da tempo. Se per gli 007 americani non ci sono mai stati dubbi, anche il Congresso Usa era giunto alla conclusione che Mosca avesse tentato davvero di “hackerare” il processo democratico d’oltreoceano, effettuando attacchi informatici anche a commissioni elettorali in almeno 18 Stati.

Mentre a dicembre scorso erano stati due dossier indipendenti richiesti dalla commissione Intelligence del Senato statunitense a mettere in luce la potente (ed estesa) macchina russa che aveva invaso i social media grazie al supporto dell’Ira. Secondo gli studi, l’operazione aveva coinvolto non solo piattaforme come Facebook (che ha anche Instagram) e Twitter, ma praticamente i servizi di tutti i big del Web, compresi Microsoft (con Outlook) e Google (compresi il suo YouTube, Gmail e i risultati di ricerca), Yahoo!, Tumblr e Vine. Un’attività che serviva – con l’ausilio di reti di bot o di addetti in carne e ossa – anche a rilanciare contenuti prodotti su media filorussi (o controllati dallo stato) come Sputnik o RT, talvolta su temi divisivi tesi a polarizzare il dibattito politico o a creare disaffezione nel sistema democratico, talvolta per diffondere la visione di Mosca su dossier come la guerra in Siria o la crisi in Ucraina.

L’ATTENZIONE VERSO MOSCA

Per questo, dopo anni di sforzi per contrastare le minaccia terroristica, ha raccontato in più occasioni Formiche.net, Washington si sta effettivamente focalizzando su avversari nuovi, come la Cina, e tradizionali, come la Russia, con la quale è da tempo in corso una nuova guerra fredda dai contorni cyber. In questo conflitto a media intensità, ma di fatto permanente, la Casa Bianca ha deciso da qualche tempo di mutare strategia, rendendo permanente la Task Force dedicata a Mosca e adottando – come ha recentemente ricordato il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton – un approccio più offensivo, a fini di deterrenza, che vedrebbe in prima linea cyber soldati e Pentagono, investiti di maggiore libertà di movimento e azione nello spazio cibernetico. Ed è fresco l’annuncio, da parte della National Intelligence, della creazione di una nuova posizione che sarà ricoperta da un funzionario esperto chiamato proprio a supervisionare la sicurezza elettorale.


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