Chissà se sono autorizzato ad esprimere una dissenting opinion dai filamenti digitali di questo insetto operoso che fa da testata al giornale. Intanto ci provo: oltretutto il dissenso non è per un’opinione espressa nello stesso formicaio, ma riguarda uno fra i più autorevoli maître à penser che si compiacciano di comparire sulla stampa nazionale: il prof. Galli della Loggia. Il quale, partendo dal doloroso caso degli psicologi presunti falsari di Reggio Emilia che con i loro expertise rendevano possibile l’assegnazione ad affidatari di bambini strappandoli alle famiglie (povere, qualche volta deprivate, ma non sempre minacciose per i fanciulli), se la prende, dalle colonne del Corrierone, con la deriva psicologista in cui si sarebbe infilato il Paese.
Ci siamo già intrattenuti su queste colonne sul tema specifico degli istituti dell’affido e dell’adozione (il 29/6/2019), ponendo in campo la questione dell’urgenza di una riforma del macchinoso ambaradam che oggi avvolge le procedure per l’adozione italiana incoraggiando l’affido e scoraggiando l’intrapresa di rapporti affettivi duraturi e la formazione di nuclei familiari stabili a vantaggio dei minori. In quell’articolo rilevammo anche che in questo contesto normativo il ruolo dei “mediatori” tra gli interessi dei bambini e l’aspirazione all’adozione dei genitori putativi, diventava abnorme. Tra i “mediatori” ci sono gli psicologi. Dunque il punto di dissenso non è la questione di Reggio Emilia, ma l’idea che non possa essere applicata utilmente la psicologia per comprendere i fenomeni che attraversano il nostro Paese in ogni segmento possibile della socialità.
Al contrario: penso che sia difficile al di fuori delle scienze della psiche umana (psicologia, ma anche psicanalisi o addirittura psichiatria) tentare di capire quel che accade, quando le chiavi di lettura del Novecento – politiche, sociali, culturali, scientifiche – appaiono superate o desuete. Prendiamo la politica: come pensiamo di capire quello che succede senza l’aiuto della psicanalisi? Le antiche strutture democratiche rappresentate dai partiti si sono trasformate in troni di spade al cui apice c’è uno solo, arrivato lì non con le procedure di selezione dal basso (tipo congressi, do you remember?), ma con meccanismi cooptativi esercitati dall’esterno (stile Movimento Cinque Stelle) o con cavalcate mediatiche che somigliano piuttosto all’ascesa rivoluzionaria di Masaniello (stile Salvini) o con la costruzione di partiti personali pagati pezzo pezzo (stile primo Berlusconi, pratica, però, ormai desueta perché sono finiti i soldi).
Il nuovo monarca in genere non deve nemmeno pagare pegno al gruppo degli oligarchi: fa tutto da sé, consapevole del fatto d’essere l’unica ragione che tiene insieme la fazione politica. Per il tempo in cui funziona (in genere cicli brevi, qualche volta brevissimi) è lui il Papa-Re. Dunque le sue paturnie, i suoi sbalzi d’umore, le sue scalmane diventano automaticamente un fatto politico, un fatto normativo, un evento che modifica la realtà del Paese. Come, in genere, avviene nei regimi autoritari. Noi, ovviamente, siamo in democrazia, ma il dover sostituire la scienza politica con la psicanalisi per capire dove ci porta il cipiglio del capintesta, ancorché inquietante, ci sembrerebbe abbastanza ragionevole.
Dunque, chiedendo scusa ai grandi e stimatissimi editorialisti, diremmo benvenuta psicologia, benvenuta psicanalisi, benvenuta persino psichiatria che ci aiutano a capire che ci succede attorno. Perché, in verità, altre chiavi non ci pare che le abbiamo.