Calogero Mannino, classe 1939, siciliano e democristiano doc, ministro della Marina mercantile, poi dell’Agricoltura, dei Trasporti, poi ancora del Mezzogiorno, deputato per sei legislature, di crisi di governo ne ha viste, e vissute, a decine. Quella in corso fra Lega e Cinque Stelle, dice a Formiche.net, non è nulla di nuovo, sul piano politico. E neanche su quello istituzionale, perché è l’ultima scossa di un terremoto iniziato quasi trent’anni fa.
Mannino, cosa le ricorda questa crisi?
L’Italia del 1992. Quando fu distrutto un sistema, discutibile e criticabile quanto si vuole, senza offrire un’alternativa. Allora sono nati i partiti personali e sono stati chiusi i veri canali di partecipazione e discussione. La divaricazione fra istituzioni rappresentative e società italiana cui assistiamo oggi è figlia di quell’epoca.
Cosa può fare Giuseppe Conte?
Poco. Non ha un partito alle spalle, non è un leader come furono Prodi, D’Alema, Berlusconi. Nel vuoto istituzionale ci si aggrappa anche a lui, ma il massimo che gli si può chiedere è guidare la nave fino alle elezioni. Ora la palla è nelle mani della presidenza della Repubblica.
Come si muoverà il Colle?
Il presidente metterà in pratica la correttezza e la prudenza proprie del suo carattere. Potrebbe fare un governo Conte bis per arrivare alle elezioni, ma non avrebbe i voti in Parlamento. Neanche se il Pd desse il suo avallo. Matteo Renzi ha chiarito che non lo voterebbe, sarebbe la fine per lui. Rimane l’ipotesi di un governo tecnico, estraneo ai partiti, fino al voto. Prima si arriva alle urne meglio è.
Mattarella ha ricordato il centenario della nascita del Partito popolare di don Luigi Sturzo, ancora oggi “un patrimonio prezioso per il Paese”. Per quale Paese?
Difficile dirlo. Un bellissimo gesto ricordare l’eredità di Sturzo. Purtroppo l’attualità dei suoi principi si scontra con l’inattualità della nostra politica. Non c’è l’ombra di chi voglia recuperare quell’idea di servizio pubblico.
E il voto cattolico, che fine ha fatto?
Si è perduto nel 1992, quando è iniziata la diaspora della Dc. Solo una formazione politica di centro può aspirare a raccogliere le istanze dei cattolici. All’epoca, e qui faccio autocritica, ciò che rimase della Dc scelse di conglobarsi nella sinistra e perse la sua identità.
Oggi dove guardano i cattolici?
Parlano i sondaggi. I cattolici, soprattutto quelli praticanti, che sono sempre di meno, votano Salvini.
Lo sa che in molti, nei primi mesi di governo, hanno paragonato il Movimento Cinque Stelle a una risorta Dc?
E perché mai? È un partito organizzato come una società per azioni, il pacchetto azionario è nelle mani di tre persone. I pentastellati hanno adottato il modello di una centrale di ricerca e studio con l’obiettivo di soppiantare il voto democratico.
Un giudizio molto duro.
Realista. L’antipolitica dei Cinque Stelle è figlia della deriva di Tangentopoli, quando una gestione strumentale della giustizia ha minato alla base l’ordinamento istituzionale. Per dirla in breve, sono lo stadio finale del berlusconismo. Ma Berlusconi aveva successo, soldi, vinceva anche nel mondo del calcio. Loro sono l’esito ulteriore, e quindi minore, di quell’esperimento.
A proposito di giustizia, i Cinque Stelle la volevano riformare, poi anche quel fascicolo è finito nel pantano del governo.
Una riforma da buttare nel cestino. Ignorava il vero male della giustizia italiana, e quindi rischiava di aggravarlo.
Quale?
L’assenza di dignità nel processo. Che oggi ha abbandonato i tribunali per abbracciare il circuito mediatico giudiziario, con la complicità della grande stampa.
Torniamo alla politica. Cercare di costruire un partito di destra moderata che raccolga l’eredità popolare è follia nell’Italia del 2019?
Mancano i presupposti. Il partito popolare fu fondato da uomini che avevano vissuto la stagione post-unitaria, quando il mondo cattolico parlava con le realtà sociali, entrava nelle cooperative e nelle case rurali, lottava contro il feudo e l’usura. Cose estremamente concrete, che prepararono il terreno, e permisero all’idea popolare e democristiana di sopravvivere alla stagione fascista, e risorgere con il ritorno di Sturzo dall’esilio in America, l’avvento di Alcide De Gasperi alla presidenza del Consiglio e la benedizione della Chiesa attraverso la figura di Montini.
Oggi è fantascienza?
Il terreno non c’è. L’Italia è un Paese impaurito, timoroso di perdere su tutti i fronti. Non si fanno più figli, non c’è ricambio generazionale, l’ordinamento scolastico che permise la formazione della classe dirigente cattolica è stato destrutturato. Servirebbe una proposta politica davvero inedita, che vada oltre i semplici principi morali.
Che effetto le ha fatto assistere al continuo tintinnio di rosari e immagini sacre in casa Lega?
Mi ha dato molto fastidio. Ma devo prendere atto che la maggior parte dei cattolici non la pensa così. Per rompere questo monopolio ci vorrebbe un movimento che abbia radici veramente cattoliche e dia sicurezze, al momento neanche l’ombra. C’è stato qualche sforzo, anche lodevole, della Cei per mettere su un movimento, finora con poca fortuna.
Un bilancio finale. Che Italia consegnano Lega e Cinque Stelle dopo un anno al potere?
Un’Italia che non ha il coraggio di scegliere. Non esiste più una politica estera. Quando De Gasperi scelse di portare il Paese nel Patto Atlantico dovette fare i conti con una forte resistenza interna al partito. Aldo Moro non votò in aula. Aveva ragione De Gasperi, non Moro. Ma almeno all’epoca ci si prendeva la responsabilità delle proprie scelte.