Mentre la crisi politica sembra addentrarsi in una terra incognita che coinvolge forme e sostanza tornano decisive e premonitrici alla mente le parole pronunciate dal presidente Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno: “Sentirsi ‘comunità’ significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. Significa ‘pensarsi’ dentro un futuro comune, da costruire insieme. Significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese. Vuol dire anche essere rispettosi gli uni degli altri. Vuol dire essere consapevoli degli elementi che ci uniscono e nel battersi, come è giusto, per le proprie idee rifiutare l’astio, l’insulto, l’intolleranza, che creano ostilità e timore”. Proprio la festività ferragostana consente di vedere l’Italia come un Paese alla ricerca di un nuovo senso dell’essere comunità, con i suoi antichi borghi dell’interno, magari greci, normanni o arabi, che per qualche ora non sono più abbandonati e l’irragionevole sottosviluppo consumistico-costiero che ritrova un senso nel suo legame con essi. È nella purezza etnica il senso di questa comunità o nel legame?
Le cupole e i santuari, le architetture e le antiche Chiese, i castelli e le certose parlano così di una crisi prima di senso che di appartenenze. Chi rischia di più in questa Italia che si illude di ritrovarsi contro qualcuno? I 5 Stelle? La Lega? I progressisti del Pd o dell’informe galassia della sinistra? Forza Italia? A guardarla così, in termini partitici, le risposte potrebbero essere tante, diverse e tutte legittime. Ma è lecito chiedersi se la domanda non sia anche un’altra. Chi, ancora giovane, ricorda i tempi dei progetti culturali, delle prolusioni fatte di placet e non placet sui vari argomenti al centro della discussione parlamentare, si renderà conto che c’è un altro soggetto, un soggetto che magari proponeva di astenersi ai referendum aiutando a determinare risultati altrimenti difficilmente conseguibili.
La Chiesa italiana è un soggetto che durante il secondo dopoguerra ha influito anche cercando il modo di dare a Dio parte di ciò che era di Cesare, ma nei momenti più importanti ha saputo influire e agire per aiutare il Paese a restare nel campo democratico e liberale, con scelte sempre più aperte, includenti, di allargamento. È una storia che parla di cattolicesimo e popolarismo. Torniamo all’inizio; non è stato un cammino populista ma profondamente popolare, sin dal famoso appello ai liberi e forti, ispirato da don Luigi Sturzo: è stato certamente il momento più alto e positivo, che ha consentito un cammino dai punti di approdo arditi, affascinanti ripensandoci oggi.
Anche rileggendo oggi la sua presentazione più semplice, quella offerta dalla popolare enciclopedia online, Wikipedia, si capisce che la sua finalità era quella di essere “con”: “Scritto sotto l’ispirazione di don Luigi Sturzo, contiene i caratteri fondamentali di quello che sarà poi definito popolarismo, una sorta di trasposizione in politica dei caratteri sociali ed etici della dottrina sociale della Chiesa cattolica, assorbendo anche alcuni principi propri del conservatorismo, del liberalismo e addirittura del socialismo. L’appello chiamava a raccolta tutti i “liberi e forti”, senza distinzione di confessione o credenza, disegnando i caratteri di un partito centrista e moderato, pronto ad alleanze con i liberali. L’appello accettava ed esaltava il ruolo della Società delle Nazioni, difendeva “le libertà religiose contro ogni attentato di setta”, il ruolo della famiglia, la libertà d’insegnamento, il ruolo dei sindacati. Si poneva particolare attenzione a riforme democratiche come l’ampliamento del suffragio elettorale, compreso il voto alle donne, si esaltava il ruolo del decentramento amministrativo e della piccola proprietà rurale contro il latifondismo. Bisogna rammentare che molte di queste posizioni non erano del tutto accettate dalla società di inizio ‘900. Il ruolo delle donne nella società, come quello dei sindacati o dei comuni non era patrimonio comune della nazione. Soprattutto da parte della gerarchia il ruolo dei sindacati, nonostante l’enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII, continuava ad essere poco gradito”.
Oggi la situazione è profondamente diversa: la crisi di governo si è svolta all’ombra, non evocata da nessun partito, dei profughi da giorni bloccati in mare, minori inclusi, dal decreto sicurezza bis, la cui approvazione il 5 agosto è stata dedicata dal ministro dell’interno alla Beata Vergine Maria, dimostrando che questa è un’epoca che potrebbe essere opposta a quella che abbiamo conosciuto, cioè l’epoca in cui Cesare si prende ciò, o parte di ciò che è di Dio. L’arma che viene impiegata per questa finalità non è un manifesto, ma un “work in progress” costruito su una nuova dottrina planetaria, quella della paura, che porta ad essere contro.
L’esternalizzazione del nemico, la sua identificazione con l’Altro, la costruzione di un “noi” superiore ed etnico, in quanto tale rompe l’Ecclesia cristiana fondata sull’idea semplice e irrinunciabile che ogni uomo è icona di Dio. Tutto questo conduce idee suprematiste anche nella nostra società, nella nostra cultura. È un pericolo nuovo ed enorme per la sua ricaduta locale dal confronto globale e che può portare il cattolicesimo alla scoperta di un’eresia, la Chiesa etnica. Sino ad oggi le sfide politico-culturali potevano essere viste dall’interno dalla Chiesa, capace di attutirle o di contenerle in prospettive diverse ma compatibili. Il confronto globale odierno, che coinvolge l’Italia, invece propone un distanziamento dall’essenza prima del cristianesimo e lo fa impossessandosi dei suoi simboli. Nessuno in questi giorni delicatissimi per il cattolicesimo italiano ha contato quante siano le Madonne di Porto Salvo, soprattutto nel Mezzogiorno. Contarle consente anche al più sprovveduto la portata del pericolo. Per questo non può che tornare alla mente don Sturzo, e per il dopo Concilio la profezia mediterranea e cittadina di Giorgio La Pira.
In questi giorni il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, sul suo account twitter ha riproposto l’articolo con cui su Civiltà Cattolica avviò l’argomentazione dell’idea, oggi indispensabile, di un sinodo della Chiesa in Italia. Lo fanno in Germania, dove i problemi sono rilevanti ma non quanto in Italia. E qui?
Era il 2 febbraio del 2019 quando padre Spadaro ricordava quanto detto da Papa Francesco al V convegno della Chiesa italiana di Firenze, nel 2015: “La nazione non è un museo, ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose.” Rispetto ai tempi di don Sturzo c’è stato il Concilio a rendere tutto più chiaro. Così Spadaro aggiungeva che nel nuovo contesto è impossibile “immaginare di risolvere la questione mettendo tutti i cattolici da una “parte” (considerando tutti “gli altri” dall’altra). Non basta più neanche una sola tradizione politica a risolvere i problemi del Paese”.
Che nessuna tradizione oggi abbia la soluzione, ma che tutte in qualche misura finiranno per concorrere al suo aggravamento o alla sua soluzione emerge sempre più evidente. Senza una una nuova responsabilità comune è difficile ritrovare la strada che unisce le marine delle Madonne di Porto Salvo ai vecchi borghi di un interno abbandonato, desolato, ma ricchissimo di incontri, culture. “Agostino e Benedetto, davanti al crollo dell’Impero, hanno messole basi del cristianesimo del Medioevo. Il cristianesimo non ha mai temuto i cambi di paradigma […] Soltanto un esercizio effettivo di sinodalità all’interno della Chiesa potrà aiutarci a leggere la nostra realtà d’oggi e a fare discernimento. Che cos’è la sinodalità? Essa consiste nel coinvolgimento e nella partecipazione attiva di tutto il popolo di Dio attraverso la discussione e il discernimento. Essa respinge ogni forma di clericalismo, incluso quello politico. La crisi della funziona storica delle élites – che fino a poco fa era riuscita a far dare alle democrazie occidentali il meglio di sé- deve aprirci gli occhi. La sinodalità è radicata nella natura popolare della Chiesa, ‘popolo di Dio’”.
In effetti il Vangelo, soprattutto oggi, grazie a Papa Francesco, si dimostra ancora una scandalo per molti, anche tra chi si crede credente. Non si tratta di discutere di politiche migratorie, ma di chi sia l’uomo per i credenti e più in generale per chi ritiene di appartenere a tutti i filoni umanisti. Si può uscire da una crisi cultura senza cultura?
In questo sta una delle chiavi dell’affermazione di Papa Francesco in tutti i campi religiosi e culturali come il nuovo leader morale globale. L’uso dei simboli religiosi in questo contesto disorientato è divenuto sempre più importante, ma fa temete un rischio enorme, che la politica voglia usarli per “sacralizzare se stessa”.
L’articolo di padre Spadaro, scritto almeno sei mesi fa, sembra scritto per la ripresa autunnale, quando questa crisi anomala avrà dimostrato di che panni è vestiti e di che pasta è fatta. Siamo usciti dalla Seconda Repubblica? Siamo in terra incognita? Non abbiamo sentito tutti discutere del taglio dei deputati senza che alcuno chiedesse il taglio di norme da lui stesso definite incostituzionali? E allora, come si strutturerà la Terza Repubblica che sembra alle porte? A queste domande non serve una risposta cattolica, non c’è. È necessaria invece la ridefinizione dei parametri che hanno fondato il cattolicesimo democratico in un’epoca lontana e che proprio il cattolicesimo, attraverso un cammino sinodale e il magistero di Papa Francesco, potrebbe riuscire a proporre oggi come autenticamente pluralista, un popolarismo “con” e non un populismo “contro”, un popolarismo non ossessionato dall’esclusione identitarista, ma dall’incontro.