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Immigrazione prima grana per un governo giallorosso

Se nascerà un governo tra Movimento 5 Stelle e Partito democratico la prima sfida riguarderà la politica migratoria, un tema che ha portato al governo Matteo Salvini (anche se con la promessa delle espulsioni e non dei porti chiusi) e che fu alla base della “rottura sentimentale” con l’elettorato democratico, come la definì Marco Minniti. Sarà la prima sfida per semplici motivi di cronaca: mentre una bomba a orologeria chiamata Ocean Viking continua a galleggiare al largo di Lampedusa con 356 migranti a bordo, è possibile che altri barconi compaiano all’orizzonte visto che il bel tempo durerà ancora mesi.

SCONTRO INTERNO-DIFESA

Una delle condizioni poste dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e approvate dalla direzione del partito prevede “una svolta profonda nell’organizzazione e gestione dei flussi migratori fondata sui principi di solidarietà, legalità e sicurezza”. Proprio mentre era in corso la direzione e a poche ore dalle dimissioni del presidente Giuseppe Conte, Matteo Salvini si chiedeva se fossero in atto le “prime prove tecniche di inciucio Pd-5 stelle sulla pelle degli italiani”. Si riferiva all’intervento del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che avrebbe “modificato unilateralmente” i compiti della missione “Mare sicuro” della Marina militare tanto che dal Viminale parlano di “chirurgico, ma significativo arretramento rispetto a quanto concordato per il contrasto all’immigrazione clandestina” depotenziando “pesantemente” la collaborazione sul contrasto ai trafficanti. La Difesa ha smentito seccamente: nessuna “disposizione o indicazione di riduzione o indebolimento delle attività della Marina” tanto che il 17 luglio il ministro aveva scritto al capo di Stato maggiore della Difesa, generale Enzo Vecciarelli, per intensificare l’attività di polizia marittima nell’ambito di “Mare sicuro”. Sulla pagina Facebook del Movimento, inoltre, è stata pubblicata parte di una lettera del capo di gabinetto del Viminale, Matteo Piantedosi, al ministero della Difesa nella quale si pregava di non incrementare il pattugliamento in acque internazionali per evitare che possa fungere da fattore di attrazione per le partenze dalla Libia. Secondo i 5 stelle, dunque, era Salvini che “intimava di non incrementare Mare Sicuro. Nemmeno un mese dopo, però, si lamenta del fatto che Mare Sicuro non sia stato incrementato e parla di inciucio”. Eppure dal Viminale insistono: le regole d’ingaggio sono state cambiate, il documento c’è, è secretato e prevederebbe meno operazioni di contrasto agli scafisti e nessun aiuto nelle indagini.

RITORNO AL PASSATO. QUALE?

Sempre nell’ipotesi di un governo Pd-M5s, fino al giuramento restano in vigore le norme attuali a cominciare dai decreti sicurezza, anche se il contestato divieto di ingresso nelle acque territoriali prevede un atto che il ministro dell’Interno “può” firmare. Se il prossimo titolare del Viminale non fosse d’accordo, non sarebbe obbligato. Ma le domande politicamente più delicate sono altre: scontato l’imbarazzo dei 5 stelle che dovrebbero smentirsi dopo aver condiviso la politica di Salvini sul tema, l’idea di Zingaretti è quella di Minniti o no? Vorrebbe tornare all’accoglienza diffusa, al sistema Sprar, alla protezione umanitaria o ha in mente un’idea diversa su come coniugare solidarietà e sicurezza? I primi successi ottenuti all’epoca causarono a Minniti un cordiale odio all’interno del suo partito, tanto che Matteo Renzi cassò dalla lista dei candidati all’attuale Parlamento i tre uomini a lui più vicini: Nicola Latorre, Andrea Manciulli ed Enzo Amendola. Inoltre, va ricordato che nella sua enews del 20 marzo Renzi precisò di condividere totalmente quello che Matteo Orfini aveva scritto sui lager libici pochi giorni prima. Orfini però sosteneva che sulla Libia era stato sbagliato tutto negli anni precedenti e che si deve tornare a una missione come Mare nostrum: condividendo il link, Renzi aveva affossato la politica di Minniti. Oggi Zingaretti che cos’ha in mente?

L’IDEOLOGIA…

L’approccio particolarmente duro di Salvini non ha solo “chiuso i rubinetti”, come ha detto nella conferenza stampa di Ferragosto, ma sta creando un isolamento internazionale preoccupante e forse sta andando oltre il buon senso visto che, tranne un paio di eccezioni, per un motivo o per l’altro tutti quelli che non sarebbero mai sbarcati alla fine sono ovviamente sbarcati. Agli eccessi di Salvini non si può però rispondere con altri eccessi: sarebbe un clamoroso autogol politico impostare una politica di apertura senza la necessaria severità. Prendiamo il caso dei Cpr, i Centri permanenti per il rimpatrio: se tutto fila liscio, entro la fine dell’anno dovrebbero essere 12 in 10 regioni per un totale di circa 1.500 posti. Bruscolini rispetto alle potenziali centinaia di migliaia di irregolari da rimpatriare. Anche se non può ammetterlo, Salvini ha proseguito il programma di apertura dei Cpr impostato da Minniti (proprio lo stesso programma) e anche lui si è scontrato con l’indisponibilità di molti enti locali. Per esempio, a governo appena insediato un leghista come il presidente del Veneto, Luca Zaia, disse il 4 giugno 2018 all’Ansa: “Nel quadro di un progetto organico per una gestione vera dei flussi migratori, ci sta che chi non ha diritto a stare in Italia perché non è profugo non possa andarsene per strada in assoluta libertà. Per cui strutture con un centinaio di posti e non oltre possono essere utili in attesa che si decida se un extracomunitario ha diritto al riconoscimento di profugo oppure no”.

…E LA REALTÀ

Quel concetto di Zaia nasconde tutti i problemi dell’immigrazione. Era improvvisamente d’accordo su un centro per immigrati ma né prima né ora ne esiste uno in Veneto. Secondo, era d’accordo per massimo 100 unità: perché non 2mila, visto che il ministro ormai era Salvini? Terzo, la sua idea non era quella propria del Cpr, dove viene rinchiuso chi è già stato individuato come irregolare e sta per essere espulso, bensì di un centro dove rinchiudere l’extracomunitario in attesa di decidere se abbia diritto o no di restare. Involontariamente aveva riaperto un vecchissimo dibattito: l’immigrato irregolare può essere privato o no della libertà personale? La nuova normativa approvata in Germania nello scorso giugno tra l’altro prevede che l’immigrato venga chiuso in centri di detenzione finché non è stata valutata la sua richiesta d’asilo.

EUROPA, AFRICA E IL CONTROLLO DELLE PARTENZE

Nessuno parla di politica estera, nessuno ricorda più che in Libia c’è una guerra destabilizzante. La speranza di una maggiore attenzione dell’Unione europea nei confronti dell’Italia sta nelle parole del nuovo presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, tutte da verificare dopo l’insediamento. Oltre all’indispensabile pacco di miliardi che servirebbe per stringere accordi con i Paesi africani di provenienza dei migranti, si dovrebbe anche fare un’analisi sui motivi del crollo delle partenze. Se al 21 agosto in Italia era arrivato il 76 per cento in meno di persone rispetto al 2018, i dati dell’Unhcr dimostrano che la tendenza nell’intero Mediterraneo è di circa il 43 per cento in meno: erano 53.761 al 19 agosto sulle tre rotte (occidentale, centrale e orientale) rispetto ai 141.472 dell’intero 2018. Anche la Spagna registra un calo sensibile: circa 18.500 arrivi, il 42 per cento in meno tra mare e terra e il 46 per cento in meno via mare. Dunque, il calo in Italia non sembra essere solo merito della politica di Salvini perché altrimenti tutti quelli che arrivavano sulle nostre coste forse oggi sarebbero in Spagna.



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