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Occhio, Zingaretti è senza la foglia di Fico ed è rimasto con il cerino in mano

Nicola Zingaretti è da poche settimane segretario del Pd e si trova ad affrontare quello che è oggettivamente uno dei tornanti più difficili della politica italiani negli ultimi anni. L’attuale presidente della regione Lazio, si sa, non era affatto dispiaciuto della crisi aperta da Matteo Salvini e riteneva che le elezioni sarebbero state un’eccellente opportunità per il suo partito e per la sua leadership. Non aveva calcolato (e neppure Salvini…) che un altro Matteo avrebbe scombinato i piani che sembravano perfetti. Renzi infatti ha fatto uno spariglio dei suoi ed ha avanzato la possibilità di dare alla legislatura un secondo tempo attraverso una intesa di quelle che sarebbe stato impensabile immaginare prima: fra grillini e democratici. Questa “pazza idea” ha trovato la sponda inattesa di Dario Franceschini ed ampi settori del Pd, oltre ai renziani che comunque sono maggioranza nei gruppi parlamentari. Zingaretti quindi non ha avuto scelta e si è trovato in mezzo ad un gioco che non è il suo.

Il segretario del Pd si è mosso immaginando due mosse: il veto a Giuseppe Conte come nuovo premier e cinque condizioni (capestro, va detto) per costruire quello che lui vorrebbe essere “il governo della svolta” in alternativa – poco fantasiosa – al “governo del cambiamento”. Luigi Di Maio, che salvo il posto di parlamentare, ha tutto da perdere nella trattativa con il Pd ha risposto con un “Conte non si tocca” e dieci punti che includono il ritiro delle concessioni autostradali, il no alle trivelle e agli inceneritori per non dire di misure economiche alquanto “coraggiose”. Ovviamente senza dimenticare la fondamentale riforma della Rai, per farla come la Bbc. Zingaretti invece di rispondere con una risata ha detto che i dieci punti vanno benissimo (ottima base di partenza, ha affermato) ma che Conte lui proprio no. La mossa non è stata geniale. Soprattutto perché proporre in alternativa Roberto Fico è stato un colossale fiasco. Il presidente della Camera infatti si è immediatamente sfilato. Non sarà un genio ma sicuramente non è un fesso. Invece Zingaretti si trova a dover fare i conti con un premier uscente che gode di un notevole consenso. Non solo i renziani non hanno veti su lui ma da Casini a Landini si è manifestato un ampio fronte di supporter di Conte. Insomma, il capo del Pd si trova chiuso in un angolo e con il cerino in mano. Il capo dello Stato appare del tutto inquieto nell’osservare la gestione pessima della crisi (da parte di tutti, va detto). Lui, Zingaretti, sta nel mezzo. Lui che voleva trarre i benefici maggiori dalla crisi rischia di pagarne il prezzo maggiore. Al bivio fra il progetto riformatore di Conte che da tutti è apprezzato per la sua lealtà e i dieci punti populisti di Di Maio che passa dai gilet gialli a Ursula con grande disinvoltura quale opzione sceglierà il segretario del Pd? In bocca al lupo.



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