Sta circolando in questi giorni la possibilità di una nuova vulnerabilità della Turchia sullo scenario internazionale legata alle scelte degli investitori, mista ad una possibile ripetizione della crisi valutaria dello scorso anno. La lira turca è andata di nuovo giù due giorni fa, essenzialmente perché Recep Tayyip Erdoğan e le sue policies spaventano (ancora) i mercati. La risposta di Ankara è in un nuovo schema di partenrship commerciali.
LIRA
Gli investitori giapponesi si sono disfatti negli ultimi giorni di tantissime lire turche, provocando un crollo improvviso che ha abbassato la valuta del 10% rispetto al dollaro. La lira in seguito ha recuperato la maggior parte delle perdite per chiudere la giornata di lunedì scorso con l’1,2% a 5,8296 per dollaro. Ma il crollo improvviso (il secondo di quest’anno) indica una instabilità strutturale della moneta e, più in generale, del sistema turco: ovvero una crescente preoccupazione per la direzione della politica economica intrapresa sotto la presidenza Erdoğan.
FATTORI
L’economia turca si contrae nel secondo trimestre del 2019, registrando una crescita pari a zero quest’anno: numeri scoraggianti, che dimostrano come l’economia di Ankara sia ancora convalescente. Secondo i dati è del 2% su base annua accusando una crescita annua stimata dello 0% per il 2019. Il motivo va cerchiato nei riverberi della crisi valutaria del 2018, che non cessa di zavorrare i principali mercati emergenti.
C’è anche sondaggio della Reuters a spargere fiele sul tema, relativo al calo di domanda che produce un rallentamento degli investimenti. Ovvero secondo un pool di 40 economisti la contrazione dell’economia turca dovrebbe continuare fino al terzo trimestre dell’anno. Le previsioni del governo, fortemente ridotte per l’anno in corso, parlano di una crescita del 2,3% nel 2019 e del 3,5% nel 2020.
TREND
Erdogan dopo aver sostituito il vertice della banca centrale, pensa a delle contromosse che evitino nuovi cali e guarda al mercato estero. Punto di snodo di Ankara è un nuovo approccio di esportazione sostenibile: in questo senso il ministero del Commercio ha annunciato un nuovo piano generale, in base al quale ha identificato alcuni paesi obiettivo e precisi settori strategici che, nelle intenzioni, dovrebbero sostenere la Turchia a incrementare ulteriormente le proprie esportazioni. Il primo passo è l’individuazione di 17 paesi target in cui mira a raddoppiare le sue esportazioni e cinque settori nevralgici, come ha annunciato il ministro del commercio Ruhsar Pekcan. Questa lista include Stati Uniti, Brasile, Cina, Etiopia, Marocco, Sudafrica, Corea del Sud, India, Iraq, Regno Unito, Giappone, Kenya, Malesia, Messico, Uzbekistan, Russia e Cile.
Appare però di tutta evidenza che le intenzioni governative dovranno mescolarsi alla real politik e ai problemi diplomatici che Ankara accusa con alcuni di essi.
I NODI
Il nodo relativo alla mancata consegna degli F35 americani alla Turchia resta il primo scoglio: Ankara cercherà alternative (in Cina) dopo che non ha rinunciato ad acquistare il sistema missilistico S-400 dalla Russia. Il secondo verte sugli scenari in Siria, dove la situazione sta registrando alcune significative novità. La presenza della Russia nella regione del conflitto è ormai una realtà e va ricordato che la Turchia ha buone relazioni economiche con Mosca. Inoltre il binomio Erdogan-Putin a fatto massa, come dimostrano i processi di Astana e Sochi. Il primo è del 2017 con Mosca e Teheran a fare da registi in Kazakistan. E’noto come Erdogan abbia l’obiettivo, non più celato, di prendere parte alla ricostruzione in Siria.
Infine il versante energetico, in cui la Turchia sta giocando una partita assolutamente peculiare con l’obiettivo di prendere parte allo sfruttamento dei giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale, che però nessuna legge gli garantisce.
RETE
Anche per ricostruire una rete inernazionale, la visita in questi giorni ad Oslo del ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu alla sua controparte Ine Eriksen Soreide ha un valore: sia su scala regionale che internazionale. E se non potrà certamente dissolvere i dubbi di tenuta che persistono sul sistema finanziaio turco, farà comunque parte di quel sommovimento di incontri e relazioni che Ankara intende cementare, anche per distogliere l’attenzione generale dal problema principe.
Ovvero la tenuta della lira, l’instabilità cronica dettata da policies aggressive (come contro Cipro e Grecia), le reazioni ambigue con lo Stato Islamico e le personali attitudini di Erdogan.
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