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Conte 2, M5S ago della bilancia e la sfida del centro. La versione di Panarari

“Oggi si apre un capitolo, tutto da scrivere, che potrebbe portare a una riconfigurazione dell’offerta politica, o anche no. Tutto dipende da come se la giocano i protagonisti”. Sono passati pochi minuti dal giuramento del nuovo governo, nato a circa un mese dalla crisi aperta da Matteo Salvini l’8 agosto, scommessa del Movimento 5 Stelle e del Partito democratico che da oggi in poi si ritroveranno tra i banchi dell’esecutivo gli uni accanto agli altri. Per Massimiliano Panarari, attento osservatore della realtà politica italiana il neo governo è una sfida per il sistema politico intero, che potrebbe rinnovarsi se i suoi protagonisti sapranno cogliere l’occasione.

Ma una partita a scacchi si è già conclusa, ed è tutta interna al Movimento 5 Stelle, e Panarari individua vincitori e sconfitti.

Negli scorsi giorni, quando ancora si attendeva di capire se sarebbe nato il governo giallorosso, lei ha parlato di una partita a scacchi tutta interna al Movimento, con Casaleggio, Di Maio, Conte, Grillo tra giocatori. Ecco, chi ha vinto?

Mi sembra che l’abbiano vinta innanzitutto il gruppo parlamentare M5S e Beppe Grillo; che Di Maio l’abbia persa e che Casaleggio abbia fatto pari e patta.

Partiamo dai gruppi parlamentari e Beppe Grillo. Vincitori perché?

Grillo ha vinto perché è tornato in campo dopo avere dato l’impressione di essersi disamorato dal Movimento e anche perché la strada che aveva preso, quella dell’alleanza sovranista-populista, non lo soddisfaceva. Ha quindi vinto perché ha aderito ad un progetto sul quale era difficile scommettere, ma facendo perno su una prospettiva in cui i punti di contatto con la scommessa zingarettiana potrebbero portare, se questo governo dura (la variabile decisiva, come negli scacchi, è quella del tempo), a una riconfigurazione del quadro politico.

Cosa intende?

Dalla dimensione più mediata di alleanze tattiche, che si potrebbero ripresentare nelle regioni in cui si va al voto, si potrebbe passare ad una forma di contaminazione al momento difficile da pensare ma non impossibile. Se le politiche economiche, ad esempio, assumono un abbrivio meno keynesiano si potrebbe andare nella direzione di costruire un centrosinistra, un polo progressista di tipo nuovo.

Torniamo agli altri vincitori, i gruppi parlamentari…

Innanzitutto sono vincitori perché rimangono in Parlamento. La presa di Di Maio come capo politico è chiaramente indebolita e si aprono quindi degli spazi per dei riequilibri interni. Quindi in questo senso si può dire che abbia vinto anche Fico.

Terzo vincitore?

Sì, sicuramente, e riconferma una sua vicinanza anche personale con Grillo che da essere l’asse perdente è ritornato invece quello vincente.

Luigi Di Maio dunque, in questa partita, non vince. Il suo ruolo alla Farnesina, in questo senso, può essere letto come una scelta tattica?

Dal suoi punto di vista sì. La scelta del ministero degli Esteri è una straordinaria vetrina, trattandosi di un dicastero di grandissimo prestigio, seppure ridimensionato rispetto alle competenze (e rispetto alla Farnesina di 15 anni fa), perché nel frattempo una parte delle deleghe si sono spostate sul ministero degli Affari europei. Fatto salvo che non aveva avuto il semaforo verde per andare al ministero degli Interni per una molteplicità di fattori, questa può essere per lui l’occasione per costruire e ottenere un’accreditamento internazionale che gli serve per la sua carriera con la costruzione di relazioni in prospettiva del suo futuro politico. E aggiungerei un altro aspetto fondamentale.

Prego.

Luigi Di Maio ha enorme bisogno di far dimenticare una serie di gaffe e errori molto rilevanti, come l’incontro con i gilet gialli, la mancata presa di posizione su Maduro in Venezuela, il filo chavismo per certi versi, o anche le sbandate sulla Cina. Considerando il favore che circonda questo governo, a livello di cancellerie internazionali, lui sarà su questi temi un osservato speciale.

Davide Casaleggio, invece, non ha vinto, ma neanche perso…

L’opzione politica di Casaleggio è obiettivamente protoleghista e di destra, quindi in questo si trovava più a suo agio con il governo precedente. Tuttavia l’aver saputo porre come elemento di novità di M5S la piattaforma Rousseau è stata per Casaleggio una vittoria.

Il fatto che Rousseau abbia rappresentato lo snodo decisivo rispetto al governo – che si è configurato chiaramente come uno sgarbo istituzionale nei confronti del Quirinale – e abbia tenuto appesi gli italiani e le cancellerie internazionali su uno strumento privato, di un libero cittadino sì, ma non eletto, è un segnale che Casaleggio è riuscito a pareggiare la partita che all’inizio lo vedeva sconfitto ai tavoli con Beppe Grillo e gli ortodossi.

Come si inserisce Giuseppe Conte in questo quadro?

Lui è sicuramente un altro vincitore. I gruppi parlamentari hanno prodotto un’investitura politica su Conte, perché è indiscutibile come nei momenti di maggiore tensione e conflitto più acceso si riconoscessero in Conte anche in chiave di contrapposizione a Di Maio. Il premier ne esce quindi come una figura che incarna l’elemento sperimentale dei 5 Stelle, un aspetto per certi versi quasi paradossale.

Perché?

Perché i 5 Stelle sono un movimento antipolitico che, dopo un’ardita prova di governo, continua a rimanere al governo con una formula diversa che potrebbe preludere a un processo di istituzionalizzazione. Conte è sicuramente un perno di questo processo, e diventa l’elemento di sperimentazione politica, che coincide, in questo caso, proprio con l’istituzionalizzazione, ossia con la possibilità di una maturazione e di una accettazione a stare nelle istituzioni con un approccio che non è “aprirle come una scatoletta di tonno”.

Oggi Vincenzo Scotti, sulla Stampa, ha detto che i 5 Stelle sono “ago della bilancia”, e che Conte è più democristiano di Di Maio. Cosa ne pensa?

Il tema dell’ago della bilancia funzionava anche con Craxi, ed è molto collegato alla dimensione numerica. Sarà un punto molto interessante verificare in questi mesi quali oscillazioni ci saranno nei consensi per il Pd e per il Movimento 5 Stelle. M5S è comunque ago della bilancia perché ha dimostrato di essere la forza governativa che può cambiare partner, così come succedeva con la Dc, seppure in contesto completamente diverso, e non c’è dubbio che fin dalle origini si presentasse con l’obiettivo di essere un catch all party in grado di spostarsi o sul centrodestra o sul centrosinistra in relazione alle maggioranze interne come faceva, anche in questo caso, la Democrazia cristiana. Conte incarna una figura di professionista notabile di origini meridionali, cattolico, molto interna a una certa antropologia democristiana. Ma questo apre al grande tema strutturale della politica italiana.

Ci spieghi meglio.

Per quanto si verifichino fasi di radicalizzazione della politica come quella che abbiamo vissuto sino a un minuto fa, e che continua, ma che in termini di potenza propulsiva questo governo ha la sfida e la scommessa di raffreddare, ecco anche in questi momenti, si governa dal centro. Nella cultura politica di molti politici italiani c’è l’idea che bisogna occupare questo spazio, che chiaramente non è il centro dell’epoca di Forlani o Andreotti. Questa idea di occupazione del centro inteso come una sorta di medietà politico-antropologica dei cittadini elettori è inteso anche come idea di una immagine di stabilizzazione, di tranquillizzazione, di riduzione del conflitto anche in un’epoca di rancore e di rabbia che lo stesso Movimento 5 Stelle ha utilizzato enormemente per acquisire consensi. Ecco, questa è un’idea che c’è e fa parte del codice genetico della politica italiana.

Lo spazio politico, invece, da chi potrebbe essere occupato? Da figure come Calenda?

Ci sono maree di cantieri su questo, da Urbano Cairo a Calenda – che è uscito dal Pd probabilmente anche per mettere una fiches su questo spazio -, naturalmente Renzi, che pensa a sé stesso come aggregatore di quel centro che dovrebbe nascere anche da una disgregazione di Forza Italia. Lo stesso Berlusconi ha rilanciato il tema della opposizione non alla Salvini ma centrista, liberale, europeista.

Quindi?

Quindi quello spazio c’è, ed è anche uno spazio di modernizzazione. Quello che si innesca con questo governo è un potenziale processo di modernizzazione dei partiti italiani pieno di punti interrogativi, ambiguità, possibili ostacoli, in un contesto di transizione politica che ci portiamo dietro da Tangentopoli. Oggi si apre un capitolo, tutto da scrivere, che potrebbe portare a una riconfigurazione dell’offerta politica, o anche no. Tutto dipende da come se la giocano i protagonisti.



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