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Gentiloni e la riforma della governance economica europea

Ursula von der Leyen ha ufficializzato la squadra con la quale si presenterà a fine ottobre al Parlamento Europeo per il varo della nuova Commissione. Al di là di altre considerazioni, vorrei spendere due parole sulla nomina di Paolo Gentiloni agli Affari Economici e Monetari. È la prima volta che un italiano andrà a sedersi sullo scranno più alto di quella direzione della Commissione. Un posto che si sono spartiti a suon di lotte spesso all’ultimo sangue francesi e tedeschi da Marjolin nel 1958 fino all’avvento dell’euro; e divenuto ancora più delicato con l’adozione della moneta unica e col sistema della governance economica e monetaria affidato alle regole del Patto di Stabilità e Crescita ed al complesso insieme di norme adottate all’indomani della crisi dei debiti sovrani.

Che la riforma della governance economica in Europa sia un elemento cruciale per il futuro dell’integrazione europea è, credo, di massima evidenza. L’euroscetticismo che ha catalizzato il sovranismo economico e politico negli ultimi anni in Europa è stato innescato da risposte intergovernative, deboli, spesso incoerenti e delegate a sistemi di regole alla crisi del 2008-2012, fino a quando la Banca Centrale Europea nell’era Draghi ha comprato col quantitative easing il tempo necessario perché i governi europei mettessero mano alla riforma di una governance perversa ed inefficiente. Riforme che non sono mai arrivate. Responsabilità che nessuno finora si è assunto.

Spetta a Gentiloni adesso (con alle spalle una rinnovata credibilità economica e politica del nuovo governo) convincere la Commissione tutta (soprattutto il suo Vice-Presidente esecutivo Dombrovskis) ed i Governi della UE, in sinergia con la Bce di cui diventa l’interlocutore principale, che occorre una riforma coerente e complessiva della governance e degli strumenti d’intervento nell’economia europea. Lasciando alle spalle improbabili rivendicazioni di mutualizzazione dei debiti (o dei loro rischi), ma concentrandosi, ad esempio, sul completamento dell’unione bancaria per disinnescare il legame perverso fra instabilità dei mercati finanziari e debiti sovrani, oltre che per ridare fiducia ai cittadini sulla resilienza del sistema bancario europeo; per dotare la UE di una capacità fiscale autonoma ed una rappresentanza unitaria nelle sedi economiche internazionali. E per modificare profondamente la governance intergovernativa ed affidata alle regole, in direzione di una nuova centralità del metodo comunitario ed un rafforzamento della discrezionalità politica nel quadro di una nuova legittimità democratica delle scelte economiche collettive.

Esistono già delle proposte in campo, sia da parte delle istituzioni europee (Commissione e Parlamento) sia all’interno dei dibattiti accademici e dei think-tank, dalle quali occorre ripartire. Proposte talvolta schizofreniche, fino ad oggi ingessate in posizioni fra loro difficilmente conciliabili. Ma contenenti anche alcuni spunti utili, realizzabili in tempi rapidi; sia in campo economico sia sociale.

La frattura che si è rivelata fino ad oggi insormontabile fra le tradizioni culturali opposte di Francia e Germania nella gestione degli affari economici e monetari può forse oggi trovare, come è stato in passato, tramite il contributo italiano, un compromesso cantierabile che sblocchi l’impasse in cui siamo finiti, rilanciando l’economia europea e con essa il consenso popolare e le sorti del processo d’integrazione del Vecchio Continente.

Il trio Gentiloni-Gualtieri-Amendola ha una responsabilità storica, che ci auguriamo voglia e sappia sfruttare al meglio: riporre l’Italia, da protagonista, al centro dei destini di riforma delle istituzioni e dei sistemi di gestione delle politiche europee; dai quali dipendono, in ultima analisi, i destini di noi tutti, che siamo allo stesso tempo cittadini italiani ed europei.


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