“Il Papa afferma che una sola cultura non può esaurire la ricchezza del Vangelo”. Il cardinale brasiliano Claudio Hummes, francescano, è il relatore generale dell’imminente sinodo per l’Amazzonia ha sottolineato questo punto decisivo nel corso di un’intervista concessa a padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica e curatore del volume “Perché un Sinodo per l’Amazzonia?” edito in questi giorni da Ancora. Il volume, essenziale e molto fruibile anche dal profano, aiuta a capire la centralità del prossimo sinodo e il ragionamento del cardinal Hummes parte dall’unità della Chiesa: “Oggi si parla molto dell’unità della Chiesa. È fondamentale, importantissima. Però, deve intendersi come unità che accoglie la diversità, secondo il modello della Santissima Trinità. Cioè, è altrettanto necessario evidenziare che l’unità non può mai distruggere la diversità. Il Sinodo, in concreto, accentua la diversità all’interno di quella grande unità. La diversità è la ricchezza dell’unità, la preserva dal farsi uniformità, dal fornire giustificazioni al controllo”.
Si arriva così più facilmente a capire cosa voglia dire che una sola cultura non può esaurire la ricchezza del Vangelo e quindi a comprendere che la nostra idea che la Chiesa sia universalmente occidentale, culturalmente occidentale, è un’idea sbagliata. Prosegue il cardinale Hummes: “Inizialmente il cristianesimo ha incontrato un luogo di inculturazione nella cultura europea, con un processo molto felice che dura ancora oggi. Ma quell’unica inculturazione non basta. Dobbiamo apprezzare la diversità delle culture. Quindi se parliamo fra noi e e riusciamo a trovare nuovi cammini per la Chiesa in Amazzonia, questo andrà a beneficio di tutta la Chiesa”. Ma questa deve essere una riflessione specifica sull’Amazzonia, non tanto sull’importanza globale di questo bacino, importanza peraltro indiscussa e indiscutibile. È questo un primo elemento di capitale importanza per capire questo sinodo, una sorta di premessa metodologica, come quella dell’ascolto. Questo sinodo è cominciato con l’ascolto di chi vive in Amazzonia. Ascolto, non elaborazione di un piano per l’Amazzonia. Dice il cardinale Hummes: “Ascoltare, non soltanto vedere, giudicare, agire”. Di conseguenza quello che sta per cominciare non sarà un sinodo disposto a vivere la pratica e lo spirito coloniali. Cioè? “L’evangelizzazione dei popoli indigeni deve mirare a suscitare una Chiesa indigena per le comunità indigene: nella misura in cui accolgono Gesù Cristo esse devono poter esprimere quella loro fede tramite la loro cultura, identità, storia e spiritualità”.
Il discorso di Francesco sulle periferie, sulla Chiesa sinodale, sul Papa vertice basso e non alto della piramide, diventa non tanto più chiaro, è chiarissimo, ma concreto, fattuale, visibile. E allora per proseguire e capire meglio e più profondamente la portata di questo discorso è bene andare a conoscere la spiritualità dei popoli indigeni ai quali Francesco ha chiesto di dedicare questo sinodo per “conciliare il diritto allo sviluppo, compreso quello sociale e culturale, con la tutela delle caratteristiche proprie degli indigeni e dei loro territori”. Si percepisce infatti un’urgenza, come se il timore fosse di ritrovarci tutti culturalmente più poveri se non lo facessimo. Ma perché? Quale ricchezza ci porta non l’Amazzonia ma la vita dei popoli amazzonici? Cosa aggiunge alla nostra spiritualità quella spiritualità?
Il volume curato da padre Antonio Spadaro ci aiuta a capirlo grazie al saggio del gesuita brasiliano Adelson Araùjo dos Santos, nel quale veniamo messi a conoscenza di tante cose. Premesso che quando cominciò la colonizzazione portoghese la popolazione nell’odierna area brasiliana amazzonica non era costituita da un milione circa di persone, ma da undici milioni di esseri umani, dos Santos arriva presto a parlarci della loro spiritualità ricostituendone i miti e il pantheon: comprende il grande spirito del tuono, creatore di cieli, terra e mari, come del mondo vegetale e animale. Poi c’è la dea della luna, custode della notte, della riproduzione, della nostalgia che riconduce a casa i cacciatori e pescatori. Il racconto si articola per gruppi e popoli, ma presenta una spiritualità nella quale non ci sarà più difficile trovare un posto per la “madre terra”. “La natura è un soggetto vivente e carico di intenzionalità: non è qualcosa di oggettivo, muto e senza spirito. La natura parla e l’indigeno amazzonico ne comprende la voce e il messaggio”.
Gli esseri umani qui non vivono solo nel mondo, ma con il mondo. Cercando di portarci più avanti di una fascinazione superficiale e lontana dall’esperienza umana l’autore riferisce di quanto ha saputo da un missionario, che ha raccontato di una donna, che ha spiegato così la sua storia: “mio marito è partito presto per cacciare con altri del villaggio. La sola cosa che ha trovato era una mamma di cervo con il suo piccolo. Dovevano sacrificarla, perché era tardi e dovevano portare a casa qualcosa da mangiare. Ma hanno portato anche il suo piccolo. Non l’hanno abbandonato. Perché come la mamma cervo era stata sacrificata per nutrire i miei figli così dovevo nutrire suo figlio in modo che domani i miei figli e i loro figli potranno continuare ad aiutarsi”. Quella donna dava il latte materno al piccolo. Ecco che finalmente il termine più ricorrente per definire questo sinodo, il “sinodo dell’ecologia integrale”, diviene più chiaro.
L’ ecologia integrale protegge l’integrità della terra, l’armonia tra uomo e foresta, flora, fauna, e quindi ostacola chi ritiene l’Amazzonia un immenso giacimento di ricchezza da sfruttare, tagliare, estrarre. Non è una spiritualità che ci riporta a San Francesco e al suo cantico? Non ci sono fratello sole e sorella luna? Dunque non è una spiritualità estranea a quella che possiamo capire, ma è una spiritualità che inserita in un contesto vitale per l’Amazzonia e per tutto il mondo ci fa capire l’importanza dell’ecologia integrale. Chissà… Forse l’unità sta nell’idea di armonia, che accomuna culture tanto diverse. Lo spiega benissimo il cardinale designato Michael Czerny, impegnato da anni con Francesco nel lavoro per i migranti: “Il concetto di ecologia integrale è commisurato ai problemi e alle opportunità dell’Amazzonia. Esso serve sia come guida sia come obiettivo del Sinodo. Nel titolo della Laudato si’, il rimando alla cura della casa comune è significativo: si tratta di un’espressione straordinaria e bellissima. D’altra parte, la nozione chiave dell’enciclica, quella di ecologica integrale, non appare altrettanto ovvia, e potrebbe non illuminare immediatamente, e meno ancora stimolare all’azione. Tutti, più o meno, conoscono il significato della parola ‘ecologia’. L’aggettivo ‘integrale’ dà a essa una piega provocatoria, anche sconcertante. ‘Integrale’ solitamente si riferisce all’interezza e all’unità di quell’intero. Indica che tutti gli elementi essenziali sono inclusi e presenti – non ne manca nessuno – e che questi elementi essenziali sono connessi o mescolati nell’insieme. Allo stesso tempo, integrale nega l’esclusione, la riduzione o l’isolamento. Questo aggettivo di solito viene inteso in senso positivo e di valore. Esso dà all’idea di ecologia una portata e un peso maggiori. Nella Laudato si’ papa Francesco espone la tesi che il mondo sta affrontando una crisi per la sopravvivenza: ‘Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri’ (LS 49). Il grido della terra e il grido dei poveri costituiscono un unico grido, e la Chiesa deve ascoltarlo e gridare con loro”.
Sono quelle qui riassunte soltanto alcune delle linee di fondo che rendono questo sinodo un sinodo epocale come quello, doppio, sulla famiglia. L’ ecologia integrale esprime una profezia, quella di un nuovo modello di sviluppo. Boscaioli e cacciatori d’oro dissentiranno, ma questo modello si costruisce nelle diverse periferie, nelle diverse culture, nelle diverse realtà del nostro mondo. È questo il passaggio d’epoca rispetto ad altri momenti. Non c’è un piano per il mondo elaborato da un centro superiore a tutto, ma la pluralità delle culture che si incontrano per costruire insieme la comune armonia.