E’ stato giustamente sottolineato da più parti – amministratori dimissionari della società, Federacciai, Sindacati, economisti – che il sequestro disposto dal Gip di Taranto su richiesta della locale Procura di beni per un valore di 8,1 miliardi del Gruppo Riva – senza toccare se non marginalmente beni dell’Ilva che non contribuiscano direttamente alla sue attività produttive tutelate dalla legge 231 del 24.12.2012 – finisca in realtà col creare le condizioni strutturali e finanziarie per paralizzare il suo ciclo produttivo, sino ad estinguerlo, con drammatiche conseguenze sull’occupazione e l’economia locale e nazionale già richiamate.
Le incertezze sulla salute finanziaria del gruppo dopo il sequestro
L’Ilva, al momento, dispone presumibilmente di risorse proprie derivanti dalla vendita di quanto prodotto e da linee di fido bancarie, ma è sufficiente tale flusso di cassa (prevedibilmente messo a budget) per consentire sia l’imponente ciclo di produzione e sia per finanziare nei tempi stabiliti dall’Aia gli investimenti di ambientalizzazione da essa previsti almeno per quest’anno? E quando la stessa prima parte dell’Aia verrà completata con le disposizioni riguardanti la sua seconda sezione, ovvero emissioni nei corpi idrici e discariche, le risorse generate dal normale ciclo di esercizio non rischiano di essere ancor meno sufficienti non solo alla luce del basso ciclo congiunturale di domanda siderurgica in cui opera attualmente lo stabilimento, ma anche per l’impossibilità – qualora ripartisse il mercato – di superare come sancito dall’Aia recepita dalla 231 gli 8 milioni di tonnellate di acciaio grezzo all’anno per 3 anni? E le risorse della capogruppo Riva Fire, se sono state poste sotto sequestro, come potrebbero sovvenire la società controllata?
Il rischio insolvenza del gruppo
Ecco allora profilarsi il rischio dell’insolvenza della società che, in tal caso, potrebbe chiedere autonomamente l’ammissione alla amministrazione straordinaria ai sensi della Legge Marzano, o che potrebbe essere richiesta da fornitori, banche e Tribunale ai sensi della Legge Prodi bis con la nomina di un Commissario straordinario. La stessa legge 231, peraltro, sottolinea che l’amministrazione straordinaria potrebbe eventualmente essere proposta al Governo dal Garante dell’Aia in caso di eventuali criticità attuative dell’Aia riscontrate dall’Ispra.
Le parole del ministro Zanonato
Al momento – secondo quanto dichiarato dal Ministro Zanonato che evidentemente dispone di dati contabili per poterlo affermare – non sembrerebbero esservi le condizioni economico-finanziarie per l’amministrazione straordinaria conseguente ad insolvenza, e bisognerebbe poi verificare che sussistano per intero le condizioni di inadempienza da parte dell’azienda nell’attuazione dell’Aia di tale gravità da giustificare l’adozione da parte governativa, su proposta del Garante, dell’amministrazione straordinaria con la nomina di un Commissario.
Come assicurare la continuità aziendale
Ma – anche ammettendo per ipotesi accademica che si configurino le condizioni ai sensi delle leggi Marzano e Prodi Bis o della 231 per il ricorso alla amministrazione straordinaria con la conseguente nomina di un Commissario – v’è da comprendere bene poi con quali risorse egli possa assicurare la continuità del ciclo produttivo e gli investimenti per l’attuazione dell’Aia nei tempi stabiliti. Infatti quali banche o loro pool potrebbero o dovrebbero assicurare le risorse necessarie? E quali norme potrebbero costringerle a farlo? Evidentemente nessuna.
Il Commissario, allora, si troverebbe nelle stesse condizioni degli Amministratori dimissionari che, probabilmente, già avevano registrato deficit di cash flow almeno nei volumi necessari per assicurare la produzione e tutti gli ingenti investimenti per l’Aia.
L’Aia e le risorse sequestrate
Si dirà da parte di qualcuno che potrebbero essere destinate all’esecuzione dell’Aia medesima, previo (forse) dissequestro del Magistrato competente, le risorse derivanti dal sequestro degli 8,1 miliardi. Ma a questo punto sorge fin troppo ovvia la domanda: ma sono risorse liquide e immediatamente spendibili, o, come parrebbe, solo una parte delle stesse è tale, mentre le altre sono costituite da beni immobili e altri titoli non facilmente liquidizzabili e men che meno in tempi brevi?
No all’intervento statale
Naturalmente non è neppure lontanamente ipotizzabile – sotto il profilo normativo per i vincoli comunitari e sotto quello delle disponibilità pubbliche di cassa – un intervento statale autorizzato dal Governo che ponga a disposizione dell’eventuale Commissario uno stock di risorse sufficiente per il triennio di attuazione dell’Aia.
Le vie d’uscita
Allora, al netto di tutti i delicatissimi problemi di natura costituzionale sulla proprietà privata dell’Ilva e sui diritti dell’impresa, come se ne esce? Sperabilmente, ad avviso di chi scrive, con un dissequestro disposto dal Tribunale del Riesame, già adito dai legali dell’azienda, o dalla Cassazione e con la rapida definizione di quel Piano industriale e finanziario per l’attuazione dell’Aia che era in via di redazione da parte degli amministratori poi dimissionari che venga (magari in via del tutto eccezionale) validato per legge – con un decreto governativo, poi convertito dal Parlamento con procedura d’urgenza sul modello della 231. Ma ad una condizione imprescindibile ovvero che esso sia finalmente realistico nei tempi di attuazione delle prescrizioni e, soprattutto, nella non facile (per nessuno) individuazione di una provvista finanziaria abbastanza capiente per realizzarle e delle garanzie fideiussorie e patrimoniali necessarie per assicurarla.
Conclusione
Insomma, l’effettivo e concreto risanamento dell’Ilva non può in alcun modo essere realizzato da comizi di chicchessia, declamazioni di piazza, o approssimazioni di qualunque tipo, chiunque ne sia il promotore.
Federico Pirro
Università di Bari