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Bologna, ecco perché ha vinto il sì. Parla il sottosegretario Toccafondi

Il referendum di Bologna ha riacceso un dibattito antico nella politica italiana, quello sul finanziamento pubblico alla scuola.
Nel capoluogo dell’Emilia-Romagna, città dalla solida tradizione di sinistra, il quesito consultivo ha dato i risultati attesi: a prevalere con il circa il 60% dei voti è stato il “no” alla destinazione di ulteriori risorse alle scuole dell’infanzia paritarie. La volontà espressa è quella di dare un milione di euro l’anno soltanto alle scuole materne statali e comunali, e interrompere il sistema integrato introdotto con una legge regionale in Emilia-Romagna dal 1995.
Una vittoria, quella del comitato promotore “Articolo 33”, smorzata dalla bassa affluenza: alle urne si è recato solo il 28,71% degli aventi diritto, pari a 85.934 elettori.
Un risultato che per il sottosegretario al ministero dell’Istruzione, Gabriele Toccafondi (Pdl, nella foto), offre una precisa lettura politica e “certifica con i numeri la sconfitta del no”.

Sottosegretario, ma non è stato il “no” a vincere a Bologna?
Apparentemente sì. Ma io sono abituato a valutare sempre i dati. E quelli di Bologna ci dicono che il “no” ha prevalso con il 60% dei voti, ma a votare è stato meno di un terzo degli aventi diritto. Oltre il 70% non si è recato alle urne. Quindi a non volere il sostegno alle scuole paritarie è una percentuale notevolmente più bassa di quella che di per sé è già una minoranza.

D’accordo, ma allora che significato dare a un voto che comunque ha dato un indirizzo?
Io penso molto semplicemente che chi non vuole che le cose cambino non si sia nemmeno recato a votare. Detto ciò è vero, il voto ha premiato il “no”, ma il referendum ha un carattere puramente consultivo, che non è sufficiente di per sé a cambiare né una legge regionale, né tantomeno una dello Stato.

Vuol dire che il voto dei cittadini non conta nulla?
No, vuol dire che chi pensava di portare la questione su un terreno ideologico pensando così di ricompattarsi ha perso nuovamente.

Si riferisce alla sinistra?
Certo. In questo senso ho trovato molto giuste le parole del ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza che ha invitato nei giorni scorsi a occuparsi dei bambini e non dei massimi sistemi. A conti fatti, il risultato del voto riporta il dibattito su un dato di realtà. Tutto l’apparato della scuola pubblica come la intendono i promotori del referendum cade di botto. Una certa sinistra ha bisogno di fare quadrato attorno ad alcune parole, ma poi si sfalda quando queste hanno implicazioni nella vita reale della gente. Le parole non sono concetti vuoti.

Il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza

Avrà anche provato a ricompattarsi, eppure la sinistra a Bologna si è spaccata. Da un lato Prodi, Merola e parte del Pd, dall’altra Nichi Vendola…
La posizione di Vendola e di Sinistra ecologia e libertà sulla vicenda mi è parsa davvero singolare. Perché da un lato, predica la rinuncia al sistema integrato attuale, ma nella sua regione, la Puglia, senza questo modello il mondo dell’istruzione crollerebbe. E infatti si guarda bene dal non finanziare le scuole paritarie. C’è un dato economico che nessuno può fingere di non vedere.

E quale sarebbe?
Il sistema integrato consente a 1 milione e 41mila famiglie – con esigenze reali e non ideologiche – di mandare i loro figli a scuola con un contributo dello Stato di 502 milioni di euro l’anno, tagliati inoltre quest’anno di 40 milioni di euro. Vuol dire che ragazzo che frequenta le scuole paritarie riceve dallo Stato un contributo di 500 euro l’anno. Il resto lo copre la sua famiglia con la retta mensile.
Invece il costo di un bambino per la scuola pubblica statale varia da 5mila a 7mila euro l’enno. Questo significa che se domani tutte paritarie dovessero chiudere, busserebbero alla porta dello Stato 1 milione di famiglie. E chi potrebbe dare loro risposte?

L’obiezione di chi ha proposto il referendum è proprio questa: lo Stato non dovrebbe assicurare a tutti un’istruzione gratuita, magari tagliando spese altrove?
Da un lato ciò è totalmente giusto: la scuola deve avere più risorse di quelle che riceve attualmente e l’indirizzo di questo governo sarà nella direzione che ciò accada.
Prima ancora però c’è una valutazione da fare. Che modello di Stato vogliamo? Esclusivo o inclusivo? C’è una porzione della società, minoritaria visto anche il risultato del referendum, che ritiene che lo Stato debba avere l’esclusiva della risposta pubblica. Io e molti altri crediamo piuttosto che la funzione dello Stato sia quella di dare alla società un recinto di regole e di vigilare che queste vengano osservate. In quello spazio anche il privato può dare delle risposte e offrire degli strumenti. Anche nel mondo dell’Istruzione.

La responsabile Scuola del PD di Bologna, Graziella Giorgi, interviene in merito al referendum sui finanziamenti comunali alle scuole dell’infanzia paritarie


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