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Comunali 2013, perché l’astensione non deve preoccupare troppo

Gli italiani non vanno più a votare. Le percentuali sono inequivocabili. Bologna ha avuto un calo notevole di affluenza. Lo stesso per tutti i comuni di tutte le regioni. A Roma, addirittura, il range ha toccato il 18 %. Insomma, è affiorato un trionfatore nazionale che acchiappa il consenso presentandosi con il volto sfuggente del “grande assente”.

A ben vedere il fenomeno non è per niente nuovo. La partecipazione politica in Italia, dopo la caduta dei partiti tradizionali, ha gradualmente abbandonato i famosi livelli record. Oltretutto, le tornate amministrative sono abitualmente meno coinvolgenti. Ciò è vero, anche se bisogna prendere atto che il partito del non voto è diventato un protagonista ingombrante e insidioso con cui fare i conti seriamente.

Ma è davvero un fenomeno preoccupante? Ebbene, se la democrazia indica un sistema politico in cui il potere pubblico è esercitato sulla base del consenso elettorale, la partecipazione al voto costituisce il mezzo unico per legittimare la linea che un’istituzione pubblica assume nell’interesse di tutti. Perciò, quando una percentuale enorme di cittadini non va a votare, qualcosa di sicuro non funziona.

Nulla è irrimediabile, tuttavia, finché l’assenteismo resta nei limiti fisiologici. Quando invece la rinuncia supera una certa soglia, emerge il cosiddetto astensionismo di consenso, certificando cioè non un brutale disimpegno, ma una diffidenza pensata e voluta verso l’offerta che è messa a disposizione dai partiti. In Italia sta succedendo proprio questo. Il tasso di fiducia si è drammaticamente ridotto, trasformandosi in una delegittimazione completa della rappresentanza. E così al consenso si è sostituito il dissenso, e, pian piano, a questo la delegittimazione totale del sistema.

I cittadini, nondimeno, stanno chiedendo anche qualcosa di positivo con questa scelta. Vogliono che l’astensione sia trasformata in una sostanziale crescita d’indipendenza. Come nel mondo anglo-americano, nel quale la democrazia è inseparabile dalla non partecipazione. In un’ottica liberale si comprende il perché: la politica che non si vede e non si sente è la migliore. E quando il cittadino può ignorare il voto, vive in libertà. Nei Paesi sviluppati i cittadini determinano difatti il proprio impegno civile, religioso e sociale fuori dalla politica, al contrario dei regimi totalitari in cui tutto è politica.

In futuro sarà importantissimo, quindi, rafforzare la capacità della società di produrre forme ampie di autogoverno che diano soluzioni autosufficienti di welfare e di vita comunitaria. Questo obbligherà i partiti a cercare il consenso degli elettori, collegandosi in modo diretto alla vita dei cittadini. L’astensione così non sarà più un problema e la partecipazione politica, finanche minima, diverrà un valido strumento democratico.



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