Jack Kerouac scriveva in On the road: “Le ragazze più carine del mondo vivono a Des Moines”. Sono qui da due giorni, non ho modo per confermare o negare, fatto sta che questa città del Midwest si presenta per quello che ti aspetti davvero dall’America. Le strade sono grandi, le auto sono grosse, il cielo sembra schiacciare le nuvole a terra. Sono stato fortunato ad arrivare venerdì notte perché ogni sabato mattina fanno questo enorme Downtown Farmers Market dove davvero gli ortaggi sono HUGE. Zucche, zucchine, fagioli, pannocchie.
I pomodori, quelli che noi chiamiamo Cuore di bue, qui li chiamano Hungarian heart, chissà come mai. Gli antenati di questi “contadini” (parliamo di fattorie con processi meccanizzati e alta innovazione) sono quasi tutti venuti dai paesi del nord: Danimarca, Svezia, Olanda. Te lo dicono i visi, gli occhi, i capelli, i cognomi e i nomi che si tramandano da padre in figlio.
L’Iowa, dal 1972, è anche il primo Stato dove si vota per i candidati alla nomination presidenziale. E così questo Stato rurale, con pochi abitanti e al 97% bianco, è diventato una tappa molto importante verso la corsa alla Casa Bianca. Chi vuole essere eletto presidente deve necessariamente passare di qui attraverso i caucus locali. I caucus sono molto di più di una votazione, sono delle riunioni in cui i cittadini si trovano, parlano e sostengono un candidato. E poiché l’Iowa non rappresenta esattamente demograficamente, socialmente ed economicamente gli States, vincere qui significa vincere in quell’America profonda che negli ultimi anni è stata determinante per
conquistare la Casa Bianca.
Ieri dopo il Farmers Market siamo andati al Polk County Steak Fry, un evento organizzato dai democrats della Contea di Polk, a cui hanno preso parte oltre 12mila persone e 17 candidati presidenziali. Per noi europei, e ancora di più per noi italiani, è difficile capire senza esserci passati. Immaginate un festival o un raduno in mezzo a una radura con laghetto, fiume e boschi.
Ogni candidato entra nello spazio del raduno facendo una parata, compreso banda musicale e ballerini, con i sostenitori al seguito (sostenitori che vista l’importanza dell’evento vengono da tutte le parti della nazione).
Nello spazio enorme del raduno ci sono i gazebo di tutti candidati, quelli delle associazioni e dei sindacati che supportano i dem americani. Ci sono barbecue enormi dove cucinano bistecche a ciclo continuo per migliaia e migliaia di persone (difficilmente ho mangiato della carne così buona). Sotto un enorme tendone ci sono tavoli e sedie dove si può mangiare. Lì i sostenitori di ogni singolo candidato con le magliette i gadget e le bandiere si siedono l’uno accanto all’altro, dando l’idea di una comunità unita nella diversità: il veterano per Biden, la studentessa universitaria per Warren, l’hipster per Beto, il newyorkese con la barba per Sanders, il pompiere afroamericano per Harris.
La cosa più bella è stata parlare con tutti loro e capire che, eccetto per i sostenitori di Biden e Sanders che non si amano moltissimo, sembrano tutti molto uniti e convinti che ce la possono fare. “Anyone but Trump” mi dice Carrol, giovane sostenitore della Warren. A proposito della Warren, l’ultimissimo sondaggio la dà in testa in Iowa con il 22% (+7% nell’ultimo mese), per quello che conta la fila ordinata e allegra per farsi un selfie con lei era lunga 600 metri.
Il miglior oratore della giornata è stato Beto ‘O Rourke, ha pochissime chance di farcela, ma non sarà l’ultima competizione della sua vita. Intanto ho fatto un selfie con lui, che non si sa mai.