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Il caso Ucraina può essere un boomerang per i Dem. Parla Spannaus

Pistola fumante o boomerang? La procedura di impeachment che i democratici americani al seguito della speaker della Camera Nancy Pelosi vogliono attivare contro il presidente Donald Trump per il caso Kievgate può trasformarsi in un asso vincente in vista delle presidenziali del 2020 o in un clamoroso autogol. Ne è convinto Andrew Spannaus, giornalista e analista politico americano, fondatore di Transatlantico.info.

Chi esce peggio dal Kievgate? Trump o Biden?

Biden ha più da perdere. Trump per il momento non deve temere un’estromissione dalla carica, e fra i repubblicani sono pochi quelli pronti ad abbandonarlo. I democratici hanno commesso l’errore di politicizzare ancora una volta l’impeachment. Veniamo da due anni e mezzo di indagini e proclami sul caso Russiagate. Le conclusioni di Robert Mueller non hanno dimostrato il reato di collusione da parte del presidente.

Perché Biden rischia di più?

Su di lui ci sono delle evidenze già assodate. Suo figlio prendeva 50.000 dollari al mese da Burisma, una delle più grandi aziende ucraine nel settore del gas. Che sia lecito o meno, gli elettori percepiscono questa storia come un’operazione politica. Che ora può accelerare il declino della sua candidatura a favore di Elizabeth Warren.

Quanto in là può andare la procedura di impeachment?

I democratici si prenderanno alcune settimane per raccogliere elementi. Hanno bisogno di dettagli precisi, non solo di una pistola fumante che dimostri il tentativo di Trump di aver bloccato i fondi militari all’Ucraina come ricatto. Devono evitare di ripetere il pasticcio del Russiagate, trovare prove concrete per spiegare che Trump ha mischiato l’interesse del Paese con i suoi interessi personali.

Quali sono le tempistiche?

Fra due mesi circa voteranno alla Camera ed è probabile che ottengano una pronuncia a favore. A quel punto il dossier passerà al Senato, anche se dubito che Mitch McConnell lo attenda con grande entusiasmo. In ogni caso la procedura si prolungherà fino all’anno prossimo.

L’inviato speciale degli Usa in Ucraina Kurt Volker si è dimesso. Un colpo duro per la Casa Bianca?

Volker è un diplomatico di carriera e persona molto rispettata nel mondo repubblicano. A differenza di molti nel partito ha deciso di non distanziarsi dal candidato Trump nel 2016 e ha accettato un incarico cruciale, anche se part-time. È un professionista, sa bene che i ricatti attraverso i fondi non sono un protocollo nuovo per il governo americano ma anche che conversazioni di questo tipo non devono essere rese pubbliche perché mettono l’amministrazione in una posizione di oggettivo imbarazzo.

Rudy Giuliani ha annunciato che testimonierà di fronte al Congresso. Trump dovrebbe preoccuparsi?

Giuliani commette spesso pasticci quando parla in pubblico, una sua testimonianza difficilmente può aiutare il presidente, è più probabile che lo metta in difficoltà. D’altro canto abbiamo visto con il Russiagate che tanto più le testimonianze sono confuse e contraddittorie tanto meno i democratici riescono ad approfittarsene.

Cosa insegna il caso del whistleblower sui rapporti fra mondo dell’intelligence e amministrazione Trump?

Fin dalla campagna elettorale si era capito che ci sarebbe stata una forte conflittualità fra istituzioni della sicurezza nazionale e Trump. Già con John Brennan era partita un’operazione per fermare il suo insediamento. Nel corso degli ultimi due anni le tensioni sono rimaste. Oggi Trump è ancora al suo posto e ha rimpiazzato gran parte dei vertici, ma il problema persiste. C’è una larga schiera di professionisti dell’intelligence convinti di fare il bene del Paese e che Trump sia un’aberrazione da estromettere dal sistema.

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