Con il senno del poi, vista l’entità e la qualità della manovra di fine anno, è difficile non sostenere che sarebbe stato meglio ridare lo scettro al popolo. Andare a libere elezioni, piuttosto che impegnarsi in una sofisticata ingegneria istituzionale, che ha prodotto quegli scarsi risultati. Per carità: nessuna posizione pregiudiziale, ma puro ragionamento di politica economica. Nè disconoscimento delle regole di una democrazia parlamentare – sono altri che vi stanno attentando – che, tuttavia, non possono essere rinchiuse nel recinto del solo formalismo.
Sono stati i principali protagonisti di questa nuova vicenda (Luigi Di Maio e Matteo Renzi) a dare corpo ad una interpretazione che è scritta nelle cose. Se l’Iva non poteva essere modificata, per evitare di fare un regalo a Matteo Salvini, tanto valeva fermare gli orologi. Decidere con un decreto legge la sua sterilizzazione e poi rimettere il tutto alle decisioni del popolo. Con l’idea che anche la Commissione europea, di fronte ad una situazione così complessa, non avrebbe potuto fare la faccia feroce. La differenza tra quest’ipotesi e quella partorita ieri, nell’ultima riunione del Consiglio dei ministri, può essere valutata in qualche miliardo – 20 euro a testa di riduzione del cuneo fiscale – che non sposta di un centimetro il complicato rebus italiano.
Tempo perso, quindi. Il minimo che si può dire. Quanto sarà lungo questo intervallo è difficile prevedere. Dipenderà dall’evolversi della situazione complessiva. Se questa maggioranza riuscirà a trovare un’amalgama programmatico, al di là delle (poco) rassicuranti parole dell’”avvocato del popolo”. A proposito: è ancora in servizio? Oppure se, prima o poi, si andrà a votare, dopo aver constatata che finita “l’emergenza democratica” nulla è cambiato. Comunque: “nebbia agli irti colli”.
Ci terremo, pertanto, una manovra di bilancio simile a quella degli altri anni. Alla quale dover far finta di credere. Credere che la lotta contro l’evasione fiscale darà 7 miliardi in più di entrate. Come, in passato si è creduto che si potessero effettuare privatizzazioni per 18 miliardi di euro. Che le nuove procedure di controllo sull’uso delle carte di credito, farebbero emergere il sommerso e quindi dare un’identità ai “furbetti” del raggiro fiscale. Come, sempre in passato, si è pensato che gestire il Reddito di cittadinanza, per evitare abusi, fosse facile come schioccare le dita. A proposito in quelle 73 mila unità in più, nel grande serbatoi degli “inattivi”, appena censiti dall’Istat, non sono anche compresi quei percettori del sussidio di Stato: ieri precari, oggi Neet (Not in employment, education and training)? Insomma: nulla di nuovo sul fronte occidentale.
Eppure sarebbe facile indicare quale dovrebbe essere la strada maestra. Occorre un governo stabile, con un orizzonte di legislatura. Una comune visione e la forza che può derivare dalla pronuncia del popolo. Sarà risolutivo? E chi può dirlo? Ma almeno non vi saranno più alibi. Sarà la dimostrazione che l’Italia ha deciso definitivamente di incamminarsi lungo un sentiero senza ritorno. Ipotesi comunque improbabile. C’è una forza nascosta nella società italiana, che molti non riescono a vedere. Ma esiste. Non è il vecchio “stellone”, ma qualcosa di più concreto che emerge dai dati del suo quadro macroeconomico, che non è solo disastri e crescita del rapporto debito pubblico – Pil. Quell’altra faccia della luna che una vecchia cultura politica, troppo disarmata rispetto ai canoni interpretativi imposti dall’estero, ha deciso di cancellare.