Si racconta che un giorno Giosuè Carducci, maestro di laicità, avrebbe risolto, si sperava per sempre, la questione del crocifisso nelle aule pubbliche dicendo “dove non può entrare Gesù Cristo non può entrare neanche Giosuè Carducci”. Così reimpostata la questione diviene più chiara, non trattandosi di non porre il crocifisso nelle aule scolastiche, ma di togliervelo, visto che c’è già e non da poco tempo. Alcuni osservano che rispetto ad allora il nostro è diventato un Paese multiculturale, multireligioso. Certo, ma con la sua cultura, la sua identità, alla quale Gesù difficilmente può essere ritenuto estraneo. Basta guardare le piazze italiane, pensare al termine “campanilismo”. E ricordarsi che nessuna comunità di fede ha chiesto di togliere quel simbolo dalle nostre aule, se non un oscuro signore legato ad al-Qaida, la cui cultura nessun popolo ha scelto come sua o ha eletto a “sua”.
Che la discussione torni ancora a riscaldare gli animi e a problematicizzare la convivenza appare curioso. Sotto c’è, come detto, un uso dei termini e un’idea curiosa di rispetto dell’altro. Partiamo dall’uso dei termini. La questione in questo non è, come detto, perché far entrare il crocifisso, ma perché farlo uscire. Cosa c’è che non va? È un po’ come con il “fine vita”. Davvero si parla, si discute di “fine vita”? Discutere di fine vita sembra voler dire che esiste un diritto a morire. Questo diritto non esiste. Solo Dio può togliere la vita, altrimenti tornerebbe l’eugenetica. Altro conto è discutere di chi può darla la vita. È la scienza che può? Davvero? La discussione non riguarda casi di sofferenza protratti oltre quelli che appaiono i “limiti della natura dell’uomo”? Chiamare le discussioni, i confronti, con il loro nome, è fondamentale, per capirsi, e dialogare.
Così nessuno dovrebbe dare torto a monsignor D’Ercole quando dice che il crocifisso è un simbolo laico. Ma se questo può risultare chiaro ad alcuni e oscuro ad altri, è evidente che togliere il crocifisso è una scelta che divide e che fa ricadere sui “nuovi italiani” un ragionamento tutto ideologico che loro non fanno, non hanno mai fatto. Un’erronea interpretazione del concetto di accoglienza può produrre problemi anche all’accoglienza stessa, o per meglio dire all’integrazione. E se non è questo il discorso allora il discorso è scristianizzare.
Rigirando il discorso si potrebbe dire che è lo stesso problema che si genera brandendo il crocifisso, o il rosario, in occasione di comizi politici. Come se si trattasse di un simbolo identitario, magari per via della battaglia di Lepanto e delle novene che al tempo vennero recitate nelle nostre chiese, e quindi da agitare contro qualcuno. Strana pretesa quella del potere politico di impossessarsi del rosario mariano visto che, nel Vangelo di Luca, Maria pronuncia queste parole, note come Magnificat: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore: ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia come aveva promesso ai nostri Padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.”