“Non so se sia stata una leggerezza o una scelta ponderata. Di sicuro in Italia si sapeva benissimo chi fosse Abd al Raman al Milad”. Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi responsabile del programma sulle migrazioni, su Twitter ha raccontato la storia del trafficante libico di esseri umani detto al Bija, ospite in Italia nel 2017, di cui ha scritto Avvenire.
Che idea si è fatta sulla presenza di al Bija in Italia?
Risponderei spiegando che è necessario dialogare con le milizie libiche: in tutte le transizioni nel mondo abbiamo dialogato con persone con cui non avremmo mai dialogato in precedenza e basta fare l’esempio dei talebani in Afghanistan. A maggio 2017, quando venne in Italia, si sapeva tutto di al Bija già da qualche mese ed erano notizie pubbliche: questo significa che i Servizi le conoscevano da prima.
È stata solo una leggerezza?
Non posso dirlo, abbiamo con certezza una finestra temporale di maggio 2017 (tra il 12 e il 15, ndr) quando andò al Cara di Mineo e a un incontro nella sede della Guardia costiera a Roma. Non sappiamo se la sua permanenza si sia prolungata, ma è un fatto che al Bija sia stato fatto entrare sapendo chi era: o si è trattato di leggerezza estrema, considerandolo più “limpido” di quanto non fosse, oppure una scelta perché era importante per quanto avrebbe potuto fare sul fronte dell’immigrazione.
Possiamo dire che è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.
Il dibattito è proprio su questo: quanto si debba permettere di sporcarsi le mani a seconda di quanto sai su alcuni personaggi. Pur conoscendo i responsabili delle partenze di migranti soprattutto dalla costa a Ovest di Tripoli, abbiamo intravisto una finestra di opportunità e abbiamo agito in maniera molto cinica.
La svolta italiana c’è stata con l’arrivo di Marco Minniti al ministero dell’Interno con una politica più incisiva, evidentemente anche a scapito di dover contrattare con certi personaggi.
Nell’agenda del governo Gentiloni, e non solo del ministro, la questione migratoria era al primo posto. Nel periodo del cambio di esecutivo eravamo ai livelli più alti di arrivi: nei 12 mesi precedenti alla svolta stavamo toccando i 200mila arrivi, una soglia psicologica di cui nessuno si era accorto perché di solito le statistiche si fanno anno su anno. Quando però si decide di fare accordi con le milizie si può chiedere di tenere da parte certi personaggi oppure legittimare tutti, come al Bija o la milizia Dabashi di Sabratha.
La cosa più difficile, dunque, è mantenere un giusto equilibrio.
Un equilibrio problematico. Capisco Minniti che doveva tenere conto di tante cose e quindi dell’incertezza dello scenario libico. Nonostante i cambi di governo, però, gli sbarchi sono calati.
Infatti bisognerebbe analizzare i motivi che stanno portando a un forte calo delle partenze lungo le rotte occidentale e centrale del Mediterraneo.
Bisogna dire che gli accordi fatti per esternalizzare, cioè per lasciare ad altri l’onere di controllare le frontiere, e mi riferisco a Turchia, Libia e Marocco, nel breve periodo funzionano. Anche in Spagna quest’anno sta arrivando circa la metà delle persone dell’anno scorso. Nel corso degli ultimi anni l’aumento crescente degli arrivi ha portato al ragionamento per cui “non possono arrivare tutti” e allora ci si è convinti che per fermare l’immigrazione si può fare di tutto e chiudere un po’ gli occhi.