“Un aumento di 7 miliardi è auspicabile, ma difficile e comunque con una prospettiva di almeno 10 anni”. Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali, commenta così l’indiscrezione della Stampa sulla promessa che sarebbe stata fatta dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Secondo Margelletti, la Nato vuole che gli Stati membri aumentino la capacità di combattimento ed è “perplessa” sul concetto “duale” espresso in Italia negli ultimi tempi.
È realistico un aumento di 7 miliardi di euro della spesa per la Difesa ed eventualmente in quanti anni?
È auspicabile, ma difficile viste le risorse che da moltissimi anni sono destinate alla Difesa. Si potrebbe immaginare uno sviluppo lungo 10 anni.
Luigi Di Maio vorrebbe comprendere nel calcolo anche gli investimenti nella cyber security e nel blockchain. È una richiesta sensata?
Che il comparto cyber sia fondamentale è ovvio, ma siamo arretrati dal punto di vista dottrinale perché la cyber italiana per legge è unicamente difensiva. Credo che quello che voglia la Nato, visto che Stoltenberg parla a nome dell’Alleanza, sia l’incremento sensibile delle capacità warfighting italiane, cioè delle capacità di combattimento compreso quello cibernetico.
Non solo difesa, dunque.
Ho la fortissima sensazione che la Nato sia estremamente perplessa sulla moda molto italiana degli ultimi anni di concetto “duale”, che in qualche modo è stato cavalcato per questioni di opportunità politiche. Le Forze armate devono fare le Forze armate. Non vi sono dubbi che alcune loro capacità siano impiegabili anche in un contesto di emergenza e di supporto alla popolazione, che è doveroso e che è sempre avvenuto, ma questo non vuol dire che le Forze armate debbano essere un’agenzia di protezione civile con un’eventuale capacità bellica. Credo che la Nato voglia una profonda inversione di tendenza dal punto di vista concettuale ancora prima che di mezzi.
Quali investimenti sono più urgenti e dove indirizzare eventuali soldi in più?
La situazione della componente corazzata, sia dei carri armati che dei blindati, è sconfortante mentre la Nato sta chiedendo a tutti i Paesi dell’Alleanza una sensibile componente terrestre.
Così come la Marina ha la legge navale e l’Aeronautica il programma F35, pur tra le polemiche, servirebbe qualcosa di simile anche per l’Esercito?
Naturalmente, ma aggiungerei che dobbiamo salire in maniera determinata in tre settori fondamentali: lo spazio, i velivoli di sesta generazione sui quali ci dev’essere un impegno del governo e non una lettera di intenti e la componente elicotteristica sulla quale l’Italia è sempre stata leader assoluta, considerando che c’è bisogno di un salto generazionale dal punto di vista concettuale.
Se è vera, la promessa di 7 miliardi in più fatta da Conte a Stoltenberg pone un ulteriore problema nel governo perché questa posizione non sta bene né al Movimento 5 stelle né alla parte sinistra del Pd. È un tema che andrebbe dibattuto in Parlamento.
Dalla missione in Libano dopo il massacro di Sabra e Chatila nel 1982 all’intervento dopo l’invasione del Kuwait nel 1990 fino alle recenti missioni internazionali, si tratta di eventi che nessun analista geopolitico aveva previsto. Significa che dobbiamo sviluppare e avere in casa delle capacità per l’imprevisto, non per quello che conosciamo; per quello che potremmo fare, non per quello che facciamo. Detto altrimenti, mentre la politica russa per certi versi ricalca quella sovietica, la Nato non è diventata una struttura simile al dipartimento di peace keeping dell’Onu perché resta un’alleanza politico-militare con esercitazioni “warfighting” con le quali chiede agli Stati membri la capacità di difendersi, non di fare protezione civile.
È questione di mentalità politica.
Quello che la Nato vuole è il mantenimento, l’implementazione e l’evoluzione delle capacità di combattimento. Se si vuole che le Forze armate facciano le Forze armate non si può immaginare un concetto “duale” per cui fanno anche i poliziotti con “Strade sicure”. Il senso dell’Esercito è quello di avere soldati preparati a combattere. Mi rendo conto che nel dna di alcuni movimenti politici ci sia tutta un’altra storia che rispetto, ma la storia di questi movimenti non è necessariamente la storia del mondo. L’Italia e il Parlamento devono decidere che cosa vogliono dalle loro Forze armate: possono anche scegliere che siano forze di polizia particolarmente muscolari, ma si taglierebbe fuori l’Italia da ogni partecipazione a missioni internazionali o di stabilizzazione.
Non partecipare alle missioni indebolirebbe la posizione italiana in politica estera.
Dovremmo prima di tutto decidere che cosa fare in politica estera. Non possiamo lamentarci di Donald Trump che sposta i soldati nel Kurdistan dando di fatto il via libera alla Turchia che va a massacrare i nostri alleati quando noi europei, e non solo gli italiani, non mandiamo i nostri soldati a combattere in Siria. La Nato e l’Unione europea hanno consentito il più lungo periodo di pace della storia e questo ha creato una generazione di politici “risk adverse” per cui chiediamo agli americani di spendere i soldi per la nostra difesa e ci lamentiamo quando gli americani ci rispondono di avere altri obiettivi e ci dicono: “La difesa fatevela da voi”.