Un premio, il Nobel per la Pace al premier etiope Abiy Ahmed Ali, non solo ad Abiy stesso ma ad un modello di leader, coraggioso e di visione, a cui l’occidente deve guardare, per creare un dialogo duraturo e senza fraintendimenti. Così il viceministro agli Esteri, Emanuela Del Re, commenta con Formiche.net la decisione di rendere omaggio al 43enne promotore dello storico accordo di pace con l’Eritrea.
Perché quell’accordo è stato una pietra miliare nella storia africana?
Conosco personalmente Abiy e ne ho apprezzato visione e coraggio. Ha saputo cogliere un momento particolare di quel conflitto che stava affliggendo l’Eritrea e l’Etiopia da anni, spaccando popolazioni e creando un dolore costante in tutti i rapporti interafricani che hanno invece l’ambizione di essere fluidi. Stiamo parlando di un conflitto ventennale, che proprio con Abiy è stato risolto quasi a sorpresa nell’aprile dello scorso anno, con un accordo di pace.
Che segnale è stato?
La volontà di far comprendere che conflitti di questo tipo non possono essere perpetuati, proprio perché le ricadute che hanno sulla popolazione sono enormi. Il suo gesto è stato di grandissimo coraggio, anche per dimostrare che non sempre occorre la burocrazia nei processi di pace, ma servono più gesti fondamentali come quello di attraversare barriere che possono apparire insormontabili con un coraggio personale, figlio di quel carisma di cui Abiy è intriso. Inoltre col suo gesto dice al mondo intero che occorre farsi guidare da una visione più ampia, e non soffermarsi solo sui problemi contingenti o sugli abusi del passato. Bensì dare l’idea che, guardando al futuro, si possa superare un rapporto negativo che è stato portato avanti per anni.
Un anno fa l’incontro di Abiy con Giuseppe Conte che fu il primo leader europeo ad arrivare ad Addis Abeba dopo la riconciliazione. Cosa rappresentò quel gesto?
Posso dire che quel viaggio ha voluto sottolineare lo straordinario passo storico: non solo riconoscendolo come di interesse per i nostri due Paesi, ma per come possa incidere negli equilibri globali. Tutti sanno che oggi il mondo è interconnesso, di conseguenza un evento come questo ha toccato una serie di nessi che hanno ottenuto benefici. Inoltre Abiy ha dimostrato di saper tessere rapporti personali di grandissimo spessore, che non è un fatto secondario nelle leadership, mostrando grandi capacità negoziali come in riferimento alla situazione in Sudan.
Cosa ci dice questo premio?
Che oggi il mondo occidentale del Nobel premia oltre all’uomo un modello di leader, che non sia solo capace di gestire questioni interne, ma che abbia una visione globale, mostrando qualità negli ambiti interconnessi nei quali ci viene richiesto di gestire questioni delicate come l’ecologia. Il premio va certamente a questo 43enne di grande coraggio ma anche al fatto di saper incarnare il leader del futuro: un uomo globale, di visione e coraggioso.
Riconciliazione, solidarietà e giustizia sociale come possono diventare il seme per un nuovo patto per l’Africa?
Un leader del genere è ancora più importante proprio perché si trova all’interno del contesto africano, che è il continente del futuro. Per cui premiare tale dinamismo significa che se vorremo voltare pagina, indubbiamente avremo a che fare con un panorama di grandi opportunità più che solo di problemi.
Nei vostri incontri cosa ha raccolto?
È un uomo di grande concretezza, con la capacità di cogliere sempre il lato propulsivo delle cose, trasformando la contingenza in un percorso verso il futuro. Una dote che ritengo molto confortante, perché chi si occupa di politica estera se resta impantanato nell’oggi, spesso viene poi imprigionato, nell’impossibilità di proseguire un percorso. Ricordo inoltre la sua capacità di essere un uomo globale, con un carisma universale: per le sue caratteristiche potrebbe essere di qualsiasi nazionalità, vista la sua formazione e la sua apertura mentale. Ma altrettanto capace di portarsi dietro un pezzo della sua terra e delle due radici: come in quella visita a Roma, quando bevemmo insieme il suo tipico caffè etiope, amarissimo, che aveva portato con sé, con la piantina della rughetta che finì anche nella mia tazzina. Imbevibile, ma con la grande gioia di poter condividere un momento gioviale ed identitario.
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