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Dal Nobel all’Economia una lezione all’Occidente. E all’Italia. Il commento di Polillo

Premio Nobel a favore di tre economisti per il loro contributo (non solo teorico) della lotta contro la povertà nel mondo. Quella vera e non quella che si proclama, a parole, dal balcone di Palazzo Chigi. Si tratta di tre “giovani” economisti, vista in genere la tarda età che ha accompagnato, in passato, l’ambito riconoscimento. I nomi sono quelli di: Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer. Esther Duflo è la seconda donna a ricevere il premio negli ultimi 50 anni, è un’economista franco-americana, co-fondatrice e direttrice dell’Abdul Latif Jameel Poverty Action Lab (J-Pal) e professoressa di Riduzione della povertà e economia dello sviluppo presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT).

Membro del consiglio di amministrazione dell’Ufficio di ricerca e analisi economica dello sviluppo (Bread), oltre che direttrice del programma di economia dello sviluppo del Center for Economic and Policy Research. Le sue ricerche e il suo lavoro si sono concentrate su questioni microeconomiche nei Paesi in via di sviluppo, tra cui il comportamento delle famiglie, l’istruzione, l’accesso ai finanziamenti, la salute e la valutazione delle politiche interne. Insieme ad Abhijit Banerjee, Dean Karlan, Michael Kremer, John A. List e Sendhil Mullainathan, ha conquistato una leadership indiscussa nel definire una metodologia che indaga sulle relazioni causali che, in economia, sono all’origine del fenomeno della povertà.

Suo marito Abhijit Banerjee l’ha seguita in questa avventura. Di nazionalità indiano-americana, è professore di economia nella Ford Foundation International presso il MIT. Cofondatore, insieme alla moglie, del Abdul Latif Jameel Poverty Action Lab e membro del Consorzio per i sistemi finanziari e la povertà. E’ stato inoltre presidente dell’Ufficio di presidenza per la ricerca nell’analisi economica dello sviluppo, ricercatore associato del National Bureau of Economic Research, del Center for Economic Policy Research, del Kiel Institute, dell’American Academy of Arts and Sciences e membro della Econometric Society. Michael Robert Kremer (classe 1964) è un economista americano specializzato nella teoria sviluppo, attualmente professore presso l’Università di Harvard. Importanti i risultati ottenuti nel suo campo. Che gli hanno fruttato numerosi riconoscimenti.

È membro dell’American Academy of Arts and Sciences ed è stato nominato Young Global Leader dal World Economic Forum. Le sue ricerche si sono concentrate sulla beneficenza nello sforzo di aiutare le persone sofferenti in tutto il mondo. Kremer è un affiliato presso l’Innovations for Poverty Action, un apparato di ricerca con sede a New Haven, Connecticut, dedicato alla ricerca delle necessarie soluzioni connesse con i problemi dello sviluppo sociale, sul piano internazionale. Ed è, inoltre, membro di Giving What We Can, una società che opera a favore della riduzione della povertà. Sue le spiegazioni più convincenti del fenomeno della crescita iperbolica della popolazione nel sistema mondiale, osservata prima dei primi anni ’70, nonché sui meccanismi economici della transizione demografica.

Questo quindi il profilo dei vincitori. Che riflette, almeno in parte, la falsa coscienza dell’Occidente. Se è vero, infatti, che le sacche di povertà offendono il comune senso del pudore, è anche vero che la globalizzazione, rispetto ai decenni passati, ha consentito a milioni di individui di uscire dall’inedia, che caratterizzava il dramma del vecchio Terzo Mondo. Al punto che lo stesso programma, a suo tempo varato dall’Onu, ha incontrato un successo impensabile solo qualche anno fa. Giudizio che può sembrare immotivato, se si considera il risvolto della medaglia. Vale a dire il progressivo malessere, conseguenza dello stesso fenomeno, che ha colpito gran parte della classe media dell’Occidente. Ma questo è stato il limite di un processo non governato. Affidato quasi esclusivamente al prevalere dei movimenti finanziari – dieci volte il Pil mondiale – che hanno generato nelle economie avanzate fenomeni di spiazzamento.

Processi che hanno dimostrato l’infondatezza di un’idea, venata di illuminismo: quella secondo la quale le economie più avanzate dovevano cedere parte della loro sovranità economica nella produzione di beni maturi, per destinare le risorse, così liberate, al grande salto tecnologico. In grado di accelerare e diffondere un benessere generalizzato. Purtroppo l’evolversi della situazione economica non è dominata da leggi meccaniche. I processi sono estremamente più complessi. Richiedono il sale della governance e della stessa politica: vale a dire la lungimiranza di chi è disposto a sacrificare l’uovo di oggi per la gallina di domani. La via maestra della lotta alla povertà, in tante parti del mondo, ha costantemente intrecciata quello dello sviluppo. Basti guardare ai differenziali nella crescita realizzate dalle cosiddette economie emergenti. Ieri terre di sofferenza ed emarginazione sociale. L’innovazione prodotta dai tre economisti è stata quella di intervenire nelle aree del disagio con misure, spesso micro, che non si limitavano alla semplice elargizione del principe: sotto forma di sussidi o prebende. Ma cercavano di determinare le condizioni in base alle quali un nuovo lavoro, liberato dal condizionamento sociale dell’arretratezza, potesse pienamente dispiegarsi. Ed ecco allora l’intervento sul terreno dell’educazione, sull’eliminazione dei vincoli maggiori che avevano portato all’esclusione. Ma sempre nel quadro di una politica di sviluppo. Una lezione valida per l’India e non solo. Ma sulla quale sarebbe necessario riflettere anche in Italia.


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