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Altre bolle, altri rischi. La finanza speculativa è tornata

Non sono i più vecchi subprime sui mutui che innescarono la crisi finanziaria ed economica, che ancora ci affligge, ma hanno raggiunto già i 1.400 miliardi di dollari. Si tratta del mercato dei “leveraged loans”, cioè prestiti “a leva” erogati a società già super-indebitate e poi negoziati sul mercato come bond, che poi vengono cartolarizzati “impacchettati” in veicoli simili ai “Subprime” che vengono chiamati “collaterlized loam obligations”.

La Banca dei Regolamenti Internazionali in un recente documento ha esaminato le analogie e le differenze tra quelli del 2007 e quelli di oggi che già hanno raggiunto i livelli del 2007, sottolineando che i rischi ci sono e sono tanti. La differenza è che i mutui erano erogati a persone fisiche, questi invece ad imprese e possono essere venduti sul mercato a fondi e investitori vari. La Bri inoltre certifica che circa il 60% di questi “leveraged loans” è stato emesso da aziende con una quantità di debiti superiore a 5 volte l’Ebitda. Ed un terzo supera addirittura sei volte, per di più senza garanzie ed anche truccando i bilanci delle società che emettono questi titoli.

Ciononostante il mercato continua a crescere perché ci sono fondi che promettono ai propri sottoscrittori interessi del 7-8% l’anno, quando ormai i rendimenti di qualsiasi investimento si aggira intorno all’uno/due per cento a causa della politica dei tassi a zero delle Banche Centrali. Preoccupazioni su questo settore sono state da tempo espresse non solo dalle autorità di vigilanza ma anche da autorevoli banchieri.

E poi ci sono in circolazione gli “Asset depletioloans”, gli “Asset dissipation loans”, ed i “Non QM” (non qualified mortgages), che stanno sostituendo i “Subprime” e sono concessi anche a chi non abbia redditi certi come, salari tradizionali né disponibilità varie, anche se per la verità per ora sono solo qualche decine di miliardi. Per simili prestiti “non convenzionali” la cartolarizzazione viene effettuata dai soliti istituti quali Goldman, Jp Morgan, Citigroup e Credit Suisse. Dunque le cause che hanno generata la crisi più devastante dal 1929 ad oggi sono ancora presenti e sull’economia reale incombe ancora una massa indefinita di finanza che può determinare tutti gli stessi effetti che ci sono stati dopo il 2008.

I mercati finanziari valgono oggi circa 740 mila miliardi, 20 mila miliardi in più rispetto a quelli del 2007; quasi dieci volte il Pil mondiale. La finanza speculativa in poche parole è tornata. Nel 2007 uccise l’economia reale, oggi sarebbe ancora peggio perché se scoppiasse un’altra crisi, non ci sarebbero nemmeno più gli Stati a farle fronte, essendo anche loro fortemente indebitati. I derivati sono oggi molti più di quelli che nel 2007 furono considerati con-cause della crisi (i dati sono tratti da: Riccardo Pedrizzi, “Il Salvadanio. Manuale di sopravvivenza economica” Cap. XVIII – Guida Editore – 2018, nda).

Anche le cartolarizzazioni sono oggi più voluminose rispetto agli anni precrisi e le grandi banche d’affari americane come JP Morgan e Morgan Stanley stanno tornando ad assemblare Cdo sintetici (Collateralized debt obligations); obbligazioni costruite impacchettando titoli di varia natura (mutui, bond aziendali, titoli vari). Stanno tornando, perché offrono buoni rendimenti e gli investitori sono tornati a chiederli. Non solo. I fondi di private equity sono tornati a strapagare le aziende che acquistano, anche quelle vicine al default.

Per non parlare degli investitori che si indebitano per comprare azioni a Wall Street: sono tanti quanti nel 2007. Ma con qualche differenza rispetto al 2007. Le banche oggi non riescono più a erogare crediti a causa delle nuove regole, si ingrossa perciò il sistema finanziario non-bancario, il cosiddetto “shadow banking” composto da titoli quotati fuori Borsa, da fondi speculativi, da veicoli strutturati movimentati da soggetti non bancari.

Questo sistema bancario “ombra” nel 2016 aveva già raggiunto la dimensione record di 45 mila miliardi di dollari con un incremento del 7,6 per cento (un tasso di crescita leggermente inferiore al 9% registrato tra il 2011 e il 2015). Lo spaccato emerge dal rapporto annuale predisposto dal Financial stability board, che dagli anni della crisi, partita con i mutui subprime, ha cominciato a monitorare quell’immenso mondo che include «l’intermediazione del credito che coinvolge entità ed attività esterne al sistema bancario». Un mondo opaco che l’Unione europea e gli Usa non riescono a regolamentare.

Ma non basta, perché anche il fenomeno molto in voga prima della crisi di prendere i soldi in prestito per investirli in azioni, ha in questi ultimi tempi battuto i record del 2007 ed anche i mutui cosiddetti “subprime” sono tornati alla grande soprattutto nel settore auto. Il debito relativo ai prestiti auto negli Usa ha raggiunto quota 1.300 miliardi, +40% in dieci anni, guadagnando il terzo posto dei debiti privati dopo i mutui e i prestiti destinati agli studenti che ammontano a 1.600, con un rischio di instabilità accentuato dal ricordo di quanto avvenuto dieci anni fa.

Altra bolla che potrebbe saltare da un momento all’altro è quella relativa ai crediti al consumo che negli Stati Uniti ammontano a quasi 4.000 miliardi di dollari. Rispetto al 2008, quando scoppiò la crisi del debito Usa, questa montagna è aumentata del 45%. E’ questo il debito delle famiglie americane, che non solo è cresciuto rispetto alla crisi del 2007-2008, ma che è anche peggiorato in qualità: oggi circa il 27% dei consumatori americani è classificato “subprime” (cioè poco affidabile). Questo accade perché si favorisce l’erogazione di prestiti a chi non è affidabile. Sono “subprime” 73 milioni di carte di credito: record dal 2009. Si stima infatti che sia avvenuta tra il 2010 e il 2017 una crescita della fascia di debitori subprime più a rischio dal 5 al 33% sul totale. Anche in Europa questi titoli “tossici” sono tornati.

Altra causa della crisi del 2007 fu quella dei mercati finanziari opachi. Si stima che più della metà degli scambi sui titoli di Stato italiani sia over-the-counter, cioè nella nebbia, fuori Borsa. Una buona fetta degli scambi di azioni, anche italiane, viene effettuata senza alcuna trasparenza: vengono per esempio scambiate nei cosiddetti “dark pool”, cioè listini delle piscine nere. I capitali così lasciano i porti sicuri e i beni rifugio e si spingono a caccia di rendimenti sempre più alti. In questa fase di bassi tassi di interesse tornano le obbligazioni societarie, più rischiose rispetto ai titoli di Stato e miliardi di dollari vengono pompati in fondi comuni che investono in corporate bond, con la conseguenza che in Europa, ad esempio, anche un’obbligazione con un rating basso, o addirittura un titolo spazzatura solo con una sola “B” di rating, ha pagato interessi molto soddisfacenti.

Ma ai “titoli tossici” tradizionali si sta aggiungendo negli ultimi tempi “altra carta” pericolosissima. Molti investitori americani che sono a caccia di rendimenti alti si sono gettati infatti in uno dei segmenti più incerti e pericolosi del mercato, le obbligazioni legate a prestiti per grandi progetti commerciali, dagli alberghi ai centri commerciali. Nonostante il tasso dei default, superiore al 9%, sia a livelli record. Poi vi sono le “dividend recape”, le ricapitalizzazioni attraverso emissioni di bond o assunzioni di debito allo scopo di pagare dividendi, che sono diventate ormai un vero e proprio sistema di pagamento cedola.

E mentre il mondo è di nuovo sull’orlo del precipizio e ci sono tutte le premesse perché riesploda la crisi con più virulenza, le grandi banche americane fanno profitti e nuotano nell’oro. Secondo gli analisti le banche americane più grandi si avviano ad incassare miliardi di profitti! Anche i bonus milionari per i grandi manager volano. E tutti questi soldi derivano non dagli investimenti produttivi, ma da operazioni speculative e dalle grandi operazioni in derivati finanziari.

Ed oltretutto con tutta questa liquidità le grandi banche stanno devastando il sistema delle banche locali e regionali, aumentando la concentrazione bancaria ed i relativi rischi sistemici.


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