Lo stallo relativo al completamento dell’Unione bancaria è, tra gli altri aspetti, il frutto di una contrapposizione datata tra chi ritiene assolutamente prioritaria la riduzione dei rischi e chi invoca strumenti di condivisione degli stessi attraverso la definizione, almeno nell’area euro, di una comune rete di sicurezza. Sull’argomento era intervenuto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, recensendo il libro di Rainer Masera “Community banks e banche del territorio: si può colmare lo iato sui due lati dell’Atlantico?”. Questa contrapposizione oltre a essere sterile – come sostenuto dallo stesso Visco – è anche – aggiungiamo noi – del tutto ingiustificata visto che l’una cosa non esclude l’altra e che reti di sicurezza esistevano fino a quando proprio l’Europa, attraverso una sua Commissione, non le ha messe in discussione per essere poi clamorosamente smentita dalla Corte di giustizia. Forse, alla radice più profonda delle difficoltà di procedere nel completamento dell’Unione bancaria c’è altro.
Affiancare l’Unione bancaria a quella monetaria è stata una scelta dettata più dall’urgenza “frettolosa” di reagire rapidamente – e in alcuni casi anche irrazionalmente – alla crisi dei debiti sovrani prodotta artificialmente – è sempre bene ricordarlo – dalla crisi finanziaria mondiale che da una reale intenzione di mettere un tassello nel complesso puzzle dell’Unione europea. Così, quella urgenza non solo non ha realizzato un sistema di Vigilanza unico, riconosciuto e condiviso ma, paradossalmente, ha prodotto più problemi di quanti ne abbia risolti ed oggi, sempre più, e più autorevoli, sono le voci che mettono in discussione quel sistema di regolamentazione. Del resto anche gli Stati Uniti, primi a entrare nella crisi e primi a uscirne, già da un po’, hanno fatto marcia indietro tornando, nella regolamentazione, ad un principio di proporzionalità effettivo e non solo dichiarato. È oggi l’Europa che, come sempre in ritardo, rimette in discussione le proprie scelte frutto, evidentemente, di un misto tra timori e premure non sempre giustificate.
Ritorna, dunque, al centro della discussione il tema della proporzionalità nell’applicazione della regolamentazione bancaria e l’autorevolezza dell’intervento del governatore, che già in passato si era espresso in tal senso, ne è un importante contributo. In questa discussione viene preso, come riferimento, proprio il modello statunitense che, dopo le modifiche apportate lo scorso anno e finalizzate a sostenere lo sviluppo economico semplificando e favorendo la concessione di credito ed eliminando inutili e iniqui oneri, ha raggruppato le banche in classi legando la severità dei vincoli regolamentari in maniera direttamente proporzionale alla loro dimensione.
Naturalmente il modello statunitense di regolamentazione non è l’unico possibile. Ciò che però continua a essere di grande interesse è quanto, in quel sistema, sia pienamente riconosciuta la funzione anticiclica e la capacità di resilienza delle migliaia di community banks, le banche di comunità – in Italia “banche del territorio” – le quali fanno parte di un sistema diversificato con l’obiettivo dichiarato di favorire, particolarmente, il sostegno creditizio alle piccole e medie imprese e i consumi e la tutela del risparmio delle famiglie che continuano a rappresentare un settore chiave dell’economia americana. In quel modello le differenze di questa tipologia di banche con quelle del resto del sistema, sia in termini di governance e di organizzazione sia di obiettivi di mercato, è alla base del principio di proporzionalità il quale riconosce che le regole prudenziali, eccessivamente complesse e restrittive, applicate indistintamente a tutte le tipologie e dimensioni di banche, distorcono il sistema concorrenziale e aumentano le difficoltà di accesso al credito con esiti negativi sull’intero sistema economico. È utile aggiungere anche che banche che operando su scala ridotta e, per questo meno complessa, sono più facilmente monitorabili e, dunque, meno problematiche sul piano della sicurezza e della stabilità del sistema.
La riduzione del rischio è direttamente proporzionata alla ripresa e alla crescita economica e non viceversa. La ripresa va sostenuta e non soffocata rendendo difficile e complessa, se non impossibile, l’erogazione del credito da parte delle banche che, al contrario, vanno messe nelle condizioni di finanziare e sostenere l’economia reale. Sono, queste sì, regole universali che dovrebbero essere considerate ovvie ma che, in un recente passato, soprattutto in Europa, non lo sono state. Oggi la situazione sta rapidamente cambiando. Almeno da questo punto di vista, l’America e il metodo della Fed sono più vicini.