La polemica lettiani-Renzi? Roba da bassa cucina, sottolinea il deputato del Pd e docente di storia delle dottrine politiche all’Università di Bologna, Carlo Galli.
Galli invita a concentrare le energie verso un percorso riformatore che però non snaturi l’Italia e le sue istituzioni. E al modello francese dice di preferire invece un premier trasformato in Cancelliere, conservando la figura “paterna” del Capo dello Stato.
Renzi accusa il governo di giocare al Conte zio dei Promessi Sposi. E’ così?
Faccio fatica a cogliere l’elemento polemico di tale richiesta avanzata da Renzi verso il premier. E’ quest’ultimo il primo ad avere sposato in pieno la causa delle riforme, come causa fondante della ragione stessa dell’esistenza del suo governo. Dunque penso che sicuramente Letta sarà d’accordo nell’affermare che il governo percorre la propria strada, ma in parallelo è stato magna pars nell’incardinare il processo delle riforme. Pur scontando il fatto, aggiungo, che la vera riforma di cui c’è bisogno è in parte quella del sistema elettorale, in parte del sistema istituzionale, ma soprattutto quella del sistema politico. I primi due sono come dei quadri, che necessitano al loro interno di una sorgente di energia rappresentata dal sistema politico. Ciò che da trent’anni è inceppato: di lì nascono i nostri problemi.
“Renzi vuol far cadere il premier”, titola oggi il Corriere della Sera: uno scenario verosimile?
Credo vi sia un’oggettiva concorrenza fra Renzi, Letta e altri all’interno del Pd per le posizioni maggiormente qualificanti. In ciò non vi è nulla di male, fa parte della politica ed è fisiologico. L’elemento che invece sarebbe dannoso lo individuerei in una concorrenzialità fuori tempo.
Per evitare, magari, di restare fuori dal dibattito?
Ovvero il tentativo di qualcuno di rendere la vita del governo più difficile di quanto già essa non sia di per sé per i problemi oggettivi che ha dinanzi. Al momento non ho elementi per dire che questo tentativo di Renzi punti ad aggravare la situazione del governo. Ma se la mozione Giachetti faceva parte di un disegno per sottolineare che il Pd si sarebbe accontentato di una soluzione troppo debole sulla legge elettorale, beh, non è stata votata neanche dai proponenti proprio perché intendevano far capire che non avrebbero messo in difficoltà l’esecutivo.
Allora le critiche di Renzi crede siano figlie della scelta di Epifani di escludere i renziani dai nuovi organigrammi del partito?
Chiedere al governo di fare le riforme e di farle in fretta è una cosa ovvia. Può darsi che vi siano dei motivi di attrito per quanto concerne l’organizzazione interna, ma su questo non ho informazioni dirette. Anzi, fa parte della bassa cucina della politica e non delle grandi questioni su cui è bene che ci interroghiamo. Magari una bassa cucina in indispensabile, ma francamente non intendo conoscerla.
A proposito di riforme, sabato ci sarà una manifestazione pubblica a Roma per l’appello di Giovanni Guzzetta “Scegliamoci la Repubblica” che ne pensa?
Ho una posizione precisa: non è una questione relativa al tasso di democraticità di una soluzione piuttosto che di un’altra, ma riguarda l’utilità. Le questioni istituzionali sono solo marginalmente connesse al buon funzionamento della politica, che invece dipende dal motore stesso della politica: il rapporto fra istituzioni e cittadini, che storicamente è sempre stato tenuto dai partiti. Lì si annida la vera chiave.
In che misura allora tarare una riforma?
Prima serve riflettere sul rapporto fra contenuto-partito, macchina organizzativa, leader e base militante su cui però non si può intervenire per legge. Circa il sistema istituzionale, nella sua storia centocinquantennale, l’Italia non ha mai conosciuto un regime presidenziale. Non è una questione di democrazia, ma di congruità rispetto a una tradizione che si è formata sin dai tempi del Regno di Sardegna, quando solo lì vigeva lo statuto albertino.
Sta dicendo che la stampella “francese” non servirebbe a far camminare meglio il paziente Italia?
La nostra forma di governo è sempre stata di tipo parlamentare, con esecutivi che chiedevano alle Camere la fiducia. Si aggiunga che la figura del premier è subordinata a un vertice dello Stato dai poteri non ridondanti. Il cattivo funzionamento della macchina politica può essere ovviato con una verticalizzazione o con un appesantimento del suo vertice? É vero che il modello francese implica il rapporto di fiducia fra Parlamento e capo del governo, ma contiene al suo interno una fortissima politicizzazione del suo vertice istituzionale.
Perché non avrebbe senso nella cornice politica italiana?
Sostanzialmente la Francia, da De Gaulle in poi, elegge il proprio Re, titolare della grandeur francese verso l’esterno e della responsabilità politica verso l’interno. Quella costituzione è costruita sulla storia della Francia che ha sempre proiettato la propria immagine esterna, anche simbolicamente, in maniera molto forte. La storia d’Italia non è inferiore, è diversa. Personalmente trasformerei il premier più in una sorta di cancelliere, conservando la figura paterna del Capo dello Stato come figura notevole che deriva dai padri costituenti. Con il modello francese verrebbe smarrita e tutte le campagne elettorali si trasformerebbe in vere e proprie ordalie.
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