Skip to main content

Perché Trump vuole uscire (anche) dal trattato Open Skies

Donald Trump vuole uscire anche dal trattato Open Skies, l’accordo dei “cieli aperti” per 34 Paesi sui voli di osservazione disarmati. La ragione? L’accordo “sarebbe di interesse solo per la Russia, dato che l’osservazione satellitare americana fornisce informazioni superiori a quelle aeree permesse dai cieli aperti”. È quanto emerge dall’analisi pubblicata su AffarInternazionali di Alessandro Pascolini, studioso senior dell’Università di Padova ed esperto di scienze per la pace e controllo degli armamenti. In vigore dal 1 gennaio 2002, il trattato autorizza gli Stati parte a condurre voli di osservazione disarmati sui territori degli altri Paesi che vi hanno aderito.

LA DECISIONE DI TRUMP

“Sappiamo dell’intenzione di Trump dalla lettera inviata il 7 ottobre dal presidente della Commissione Esteri della Camera, Eliot L. Engel, al consigliere per la Sicurezza nazionale Robert O’Brien, in cui esprime il sostegno della Commissione al trattato”, ricorda Pascolini. “Il documento, negoziato fra la Nato e il Patto di Varsavia, vale fra 34 dei Paesi allora membri delle due organizzazioni: copre quasi tutta l’Europa, incluse Bielorussia, Russia e Turchia, oltre a Canada, Groenlandia e Stati Uniti; è di durata illimitata; prevede conferenze di revisione; e ha come depositari il Canada e l’Ungheria”. In realtà, nota ancora l’esperto, “l’idea di un regime di voli di osservazione aerea disarmati per promuovere la reciproca fiducia fu suggerita dal presidente Dwight Eisenhower nel 1955 e ripresa da George Bush nel 1989”.

IL TRATTATO

In sintesi, “il trattato conferisce a ciascuna parte il diritto di condurre una quota attiva di voli di osservazione sulle altre parti e l’obbligo di accettare una quota passiva di sorvoli sull’intero proprio territorio”. La quota attiva di uno Stato, spiega Pascolini, “non può superare la sua quota passiva e un singolo Stato non può richiedere più della metà della quota passiva di un altro Stato”. Inoltre, “i voli di osservazione vanno condotti utilizzando aerei designati, dello Stato osservante o forniti dalla parte osservata, e richiedono un preavviso di almeno 72 ore; il piano di missione va presentato almeno 24 ore prima dell’inizio del volo e lo Stato osservato può proporre modifiche al piano stesso; la missione deve essere completata entro 96 ore dall’arrivo dello Stato osservante”. Vengono poi precisati “gli aeroporti di partenza e la lunghezza massima del volo a seconda dell’aeroporto, a garantire la totale copertura dello Stato osservato”. Si specificano inoltre i tipi di sensori per l’osservazione, ma anche la condivisione dei dati: “Una copia dei dati raccolti dall’osservante va fornita al Paese ospitante, ciascuno Stato riceve un rapporto di missione e può acquistare i dati raccolti”.

LA DECISIONE USA

Eppure, ricorda Pascolini, “come ogni altro trattato internazionale, anche Open Skies non è stato perfettamente rispettato, in particolare a seguito del raffreddamento dei rapporti fra i Paesi occidentali e la Russia”. La decisione di Trump dunque poggia su riferimenti ormai consolidati. “Sotto l’influenza del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, prima che lasciasse l’incarico, negli Usa si sono andate intensificando critiche anche a questo trattato, che sarebbe di interesse solo per la Russia, dato che l’osservazione satellitare americana fornisce informazioni superiori a quelle aeree permesse dai cieli aperti”, nota l’esperto. “Così, nel maggio del 2018 l’Amministrazione americana ha bocciato la richiesta dell’aeronautica di sostituire i due obsoleti aerei OC-135 destinati alle missioni e il 13 agosto Trump ha sospeso i finanziamenti per il trattato finché ‘la Russia non sia in completa osservanza dei suoi obblighi’, motivazione foriera di precedenti affossamenti di accordi internazionali”.

L’EFFETTO BOLTON

Per questa ragione, “analisti americani ritengono che l’attuale iniziativa di Trump sia un colpo di coda di Bolton: egli avrebbe preparato il documento che il suo successore Robert O’Brien avrebbe fatto firmare al presidente, senza consultare gli esperti diplomatici, militari e della sicurezza nazionale”. In realtà, aggiunge Pascolini, “Il documento di per sé non comporta l’immediato ritiro americano dal trattato, che prevede (articolo XV) un preavviso a tutte le parti di almeno sei mesi; finora non ci sono state iniziative in tal senso da parte del segretario di Stato Mike Pompeo”.

SCENARI POSSIBILI

“Va ricordato che il trattato svolge un cruciale ruolo di garanzia di sicurezza per tutti i Paesi europei e contribuisce a creare una situazione di trasparenza e di stabilità nel nostro continente”. Infatti, “il maggior valore di Open Skies sta, più che nella raccolta dei dati, nella cooperazione internazionale che promuove, nel mantenimento di un foro multilaterale, l’Oscc (la Commissione consultiva per i cieli aperti, ndr), dove discutere dei problemi della sicurezza di ciascuno e anche negli stessi contatti umani dei diplomatici e degli equipaggi”. Infine, spiega concludendo Pascolini, “Open Skies è uno degli ultimi strumenti internazionali di controllo degli armamenti ancora in vigore e la sua fine segnerebbe un ulteriore passo nella direzione di negare validità al processo negoziale verso il disarmo e potrebbe togliere valore alla stessa nozione di legge internazionale”.

×

Iscriviti alla newsletter