Quando, nel 2011, le piazze siriane cominciarono a ribollire di rabbia contro il regime, la voce dei patriarchi, numerosi, basati a Damasco o Aleppo non le sostenne. Oggi invece la fotografia del patriarca caldeo, il cardinale Louis Sako che, accompagnato dai vertici patriarcali, raggiunge i manifestanti con la sciarpa irachena al collo, simbolo dell’unità nazionale e non confessionale del popolo, l’hanno vista tutti in Iraq.
I media iracheni sono stati meno distratti dei nostri, sempre attenti a sottolineare gli elementi o gli avvenimenti che separano i cristiani del Medio Oriente dai loro connazionali, meno quando un evento importantissimo come questo dimostra la loro unità. Sarebbe interessare capire perché. Anche in Libano, dove il patriarca maronita non ha raggiunto i manifestanti, ha avuto enorme risalto il fatto che lui proprio ieri, nel giorno in cui il presidente libanese Aoun tentava di radunare i suoi sostenitori per dire che i cristiani non stanno con l’altra piazza, il patriarca maronita ha comunque infranto il suo sogno, ribadendo il consenso con le richieste della grande piazza libanese. Dire fuori tutti, perché siete tutti corrotti, è la verità che riguarda tanto il Libano che l’Iraq.
Ma per spiegare questa rabbia contro la corruzione non basta ricordare che costoro hanno divorato porzioni enormi della ricchezza dei due Paesi. No; hanno fatto tutto questo, con un’intensità che neanche gli italiani riescono a immaginare, unendosi con la violenza e l’intimidazione a interessi politici stranieri, imperiali o coloniali. E i popoli in Libano e Iraq hanno detto basta. I tentativi di Hezbollah in Libano e dei pasdaran in Iraq di descrivere i manifestanti come pagati da potenze straniere non hanno avuto successo. Il tentativo di alcuni politici cristiani di spezzare la piazza neanche.
Così ha senso oggi chiedersi se l’esempio del cardinal Sako, se fosse stato seguito già nel 2011, avrebbe consentito alla storia di prendere un’altra piega. Come ha senso vedere comunque nel suo atto un contributo che va al di là del fatto contingente per tutto il mondo arabo. L’idea di cittadinanza sta prendendo piede. L’idea di quella comune e pari cittadinanza che spezza il confessionalismo politico e quindi l’allineamento a disegni imperiali o coloniali è il vero dato politico e culturale di questo 2019 iracheno-libanese. Ora i libanesi esistono ai loro stessi occhi, non sono gli sciiti servi dell’Iran, non sono i cristiani quinte colonne della Russia, non sono i sunniti servi dei sauditi. Sono tutti costoro contro i manutengoli che rivendicano di difendere insieme gli interessi e i valori libanesi. E le Chiese, visto che Papa Francesco può essere definito il “maestro” di questa idea di cittadinanza condivisa e paritaria, figli di leggi condivise e non religiose – avendo firmato la dichiarazione di fratellanza con l’imam al-Tayyeb a febbraio – stanno nel movimento, con il movimento, e questo aiuta enormemente la piazza a conservare la sua dimensione transcofessionale, cittadina, nazionale, come la sciarpa del patriarca Sako.
La riprova sta nel fatto che ieri i manifestanti di Baghdad hanno saputo formulare proposte sorprendenti, condivise dal movimento trasversale: processare i politici corrotti, processare chi ha ordinato di sparare sui manifestanti, affidare ad esperti di indiscusso prestigio la riscrittura della legge elettorale e dei meccanismi di controllo dell’esecutivo. Il capo del battaglione iraniano al-Quds, ha tentato di fermare tutto questo, con qualche morto sulle spalle ma senza successo politico e per ora dopo aver vinto la guerra sta perdendo la pace.
Intanto a Beirut il vecchio generale Aoun, protagonista della guerra civile che devastò il Libano come i suoi partner politici, simboli di una gerontocrazia tribale che affama il Libano, cerca una via d’uscita alla crisi con il rituale delle consultazioni. La giornata di ieri con le sue mobilitazioni massicce non l’hanno potuta sedare né lui né Hezbollah, vero king maker di questa stagione, e questo dovrebbe avergli detto che la soluzione è il governo tecnico invocato dalla piazza. La partita iracheno-libanese che non vogliamo vedere è enorme, epocale. Tentata dai siriani nel 2011 e tradita da tutti oggi in Libano e Iraq ha trovato un cardinale come Sako a tutelarla dal malessere sempre in agguato, da interferenze assassine e dall’oblio delle cancellerie.
Se andrà bene il rapporto tra cristiani e musulmani, con grave danno di molti, prenderà un’altra strada. Difficile, difficilissima, piena di nemici. Ma finalmente possibile. A febbraio ad Abu Dhabi, quando Bergoglio e Tayyeb hanno firmato quel documento sulla fratellanza, la stagione dell’impegno per la cittadinanza comune e condivisa è cominciata davvero.
Chi ha negato la rivoluzione siriana oggi non può negare quella libanese e quella irachena, anche grazie al ruolo che stanno svolgendo le chiese locali, guidate da quella caldea. Un fatto che per giornali e opinionisti che hanno seguito con attenzione la persecuzione dei cristiani in quelle terre avrebbe meritato non l’oblio che gli è stato riservato, ma enorme attenzione.