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La politica non lucri su Taranto. Parla mons. Santoro

Il caso Ilva sta scuotendo l’Italia, dopo che Arcelor Mittal ha deciso di rescindere il contratto siglato un anno fa in cui assicuravano di volere investire tre miliardi. Pare che l’azienda abbia messo sul tavolo cinquemila esuberi, trovando però la strada sbarrata da parte del governo, che nel frattempo continua a cercare una exit strategy. Formiche.net ne ha parlato con monsignor Filippo Santoro, arcivescovo metropolita di Taranto e presidente della commissione Cei per il lavoro.

Monsignore, quale è la sua reazione? Come si sente di descrivere tutta la vicenda?

Leggo con non poca preoccupazione le ultime notizie relative al comunicato di Arcelor Mittal in merito allo stabilimento tarantino. Non ne sono sorpreso, c’erano stati già segnali che avrebbero dovuto essere colti e non lo sono stati. Ho timore per quello che potrebbe accadere, rischiamo che all’emergenza ambientale, tuttora ben lontana dall’essere risolta, si aggiunga quella sociale.

Si sente di fare dei rilievi alla politica, specialmente per ciò che riguarda la legge approvata il 3 novembre che toglie lo scudo penale ai nuovi proprietari?

È stata una mossa improvvida dare loro un pretesto! I segnali di questa possibile evoluzione c’erano tutti ma il governo ha preferito inseguire provvedimenti demagogici utili solo a una parte per tentare di riconquistare il consenso perduto. Ho riscontrato una grande inerzia, si è stati ad attendere l’evolversi della situazione senza una visione d’insieme ma sostenendo tesi parziali, diverse e contrapposte.

Chi sono a suo giudizio i veri responsabili di tutta questa vicenda? Dove sono le colpe, e quali sono stati gli errori?

Non c’è nessuna parte politica che possa dirsi “innocente”, non saremmo arrivati a tanto. Fino ad ora ci si è adoperati per trovare soluzioni per ex Ilva, non sempre le migliori, ora è il momento di trovare soluzioni per Taranto e per i suoi cittadini, per i lavoratori. Siamo al punto in cui sono diventati intollerabili i giochetti della politica per lucrare il consenso.

A questo punto cosa pensa che succederà, si rischia di ritrovarsi con una nuova Bagnoli e quindicimila famiglie senza lavoro? Mentre qual è il suo auspicio?

L’attuazione del Piano ambientale richiede ingenti risorse, ed è possibile solo utilizzando risorse rivenienti dai bilanci dell’acciaieria, l’Italia è piena di siti, nemmeno lontanamente paragonabili per estensione a quello di Taranto, che non sono stati più bonificati una volta abbandonati dalla proprietà. Sono molto preoccupato per questo. E si deve garantire il lavoro a tutti gli operai, nessuno escluso. Ancora una volta mi ispiro alla Laudato si’ di papa Francesco e invito tutti i protagonisti di questa estenuante vicenda a perseguire ogni possibile strada conduca a coniugare salute e lavoro in virtù di quella “ecologia integrale” che vede l’uomo protagonista e non schiavo dell’inerzia e della massimizzazione del profitto.

Qual è il sentimento che avverte tra i lavoratori e tra i tarantini? E quali sono le maggiori paure?

La città è smarrita, disorientati sono i lavoratori vittime di volta in volta di chi li ha additati come “collusi” quando non “responsabili” dell’inquinamento e della paura quotidiana di non essere più in grado di sostenere la propria famiglia. Provi a mettersi nei panni di un operaio, padre di famiglia monoreddito, come del resto la gran parte delle famiglie tarantine; sono anni che vedono a rischio il loro posto di lavoro. Paghiamo le conseguenze di un rapporto di decenni poco chiaro e rispettoso dell’azienda con una città che ha pagato e continua a pagare un prezzo troppo alto per il suo contributo al Paese. Abbiamo avuto vittime di incidenti sul lavoro in quella fabbrica, giovani operai; abbiamo tanti morti per malattie legate scientificamente alle emissioni tossiche; di cancro a Taranto si muore più che altrove, lo dicono i dati. Questo ha esacerbato gli animi e la cattiva politica ha contribuito a creare opposte fazioni. La città non è stata in grado, non ha trovato la forza di reagire unita. Sebbene io ritenga la fine del siderurgico un enorme problema, non mi sento di biasimare chi la auspica.

Cosa chiede in particolare al governo italiano? Qual è l’appello finale che si sente di lanciare a tutti i soggetti in campo?

Che occorre uno sforzo di rinnovata analisi e di creatività per far nascere posti di lavoro stabili. Se si dovesse decidere per il ridimensionamento della fabbrica si dovrà “pre-vedere” un piano di graduale occupazione delle diverse migliaia di persone in questo territorio. Queste, lasciando il siderurgico, dovranno poter usufruire di nuovi investimenti, per sviluppare anche il terziario, una agricoltura di eccellenza, l’utilizzo delle risorse del mare e il turismo. Diversamente continueremmo nella stessa paralisi attuale accontentandoci di false soluzioni con ammortizzatori sociali che durerebbero 10-20 anni, senza creare nuova occupazione, non rispettando così la dignità della persona umana che si realizza nel lavoro.


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