Per comprendere il valore ed il peso del soft power cinese e l’inarrestabile ascesa del suo modello economico, bisogna leggere “Terra e mare” di Carl Schmitt. Scritto nel 1942, questo singolare saggio in forma di racconto, rilegge la storia del mondo nella prospettiva di una opposizione fondamentale, quella tra la terra e il mare. Con pochi tratti il giurista tedesco ripercorre secoli di storia, caratterizzati da quella che chiama la rivoluzione spaziale planetaria, da cui è nato il Nomos dell’Europa moderna. Nei secoli XVI e XVII, afferma Schmitt, l’umanità europea ha imposto un nuovo concetto di spazio in tutti gli ambiti del suo spirito creativo. Non è esagerato affermare che tutte le sfere della vita, tutte le forme dell’esistenza, prendono parte alla trasformazione del nuovo concetto di spazio. Ciò che è stato definito superiore razionalità dell’europeo, razionalismo occidentale avanzò allora irresistibilmente, abbattendo le forme medievali della comunità umana, generando nuovi Stati, nuovi eserciti, inventando nuove macchine, sottomettendo i popoli non europei e ponendoli di fronte al dilemma se accettare la civilizzazione europea o decadere al rango di popolo coloniale.
La conquista dello spazio e la scelta di lasciare la terra per vincere la resistenza del mare, osserva Schmitt, è stato uno dei presupposti che hanno trasformato in pochi secoli un Paese povero e dedito alla pastorizia come la Gran Bretagna, nel più potente e importante impero, che aveva imposto il suo concetto di spazio non solo con l’uso della forza, ma soprattutto con gli strumenti della finanza e con la conquista e la costruzione di piattaforme, per fare fluire velocemente le merci da una parte all’altra del globo.
I porti in quella strategia avevano un ruolo decisivo perché costituivano dei presidi e degli snodi sui territori, dei gatekeeper. Se si sovrappone la cartina dell’impero britannico al progetto della Nuova Via della Seta si scoprirà che la Cina sta costruendo il suo impero rinnovando e implementando quelle stesse piattaforme (oggi diremmo hub), che avevano garantito alla Gran Bretagna per oltre un secolo di dominare il mondo.
La città di Trieste è la chiave della Via della Seta: Pechino possiede già il Pireo, che la miopia europea gli ha regalato qualche anno fa, ma il sistema dei trasporti nei Balcani è scadente (la Cina sta investendo anche nella ex Jugoslavia per costruire nuove infrastrutture attraverso l’accordo con tutti i Paesi ex Urss e l’advisor economico della Presidenza della Repubblica ceca è cinese).
Così ha deciso di aggirarli e il porto giuliano è la piattaforma più importante di collegamento con i porti del Nord Europa. La Cina già possiede i porti di Valencia, Bilbao, Bur Said, Alessandria, Haifa, Gibuti, e ha partecipazioni significative a Rotterdam e Suez.
Slovenia, Grecia o Etiopia, la partita globale dei porti si gioca a colpi di capitali statali e non solo di finanziamenti da parte dei grandi terminalisti, quelli che non hanno creduto al progetto delle banchine merci offshore di Venezia e che invece hanno scommesso su Trieste.
La scelta di Trieste da parte del gruppo cinese China Communication Construction Company spiega inoltre meglio di qualsiasi altro esempio cosa significa fare business nel sistema globale. La globalizzazione, si sa non è paziente, e la Cina non ha tempo da perdere per superare ad esempio il problema dell’ultimo miglio ferroviario a Gioia Tauro, nonostante le opportunità della Zona Economica Speciale. Meglio puntare al Nord, ed entrare all’interno dei Corridoi Europei con i quali inevitabilmente la Nuova Via della Seta dovrà connettersi, creando di fatto un’unica grande piattaforma dalla Cina all’Europa. Alla conquista dello spazio in Africa e in Europa da parte della Cina fa seguito il continuato arretramento degli Stati Uniti, la cui implosione è cominciata quando non hanno più voluto investire sull’Europa, ma hanno lavorato per la dissoluzione del Vecchio Continente, che resta invece un grande mercato economico, oltre ad uno spazio culturale e sociale fondamentale per lo sviluppo del pensiero politico occidentale.
Ha ragione Giulio Sapelli quando mette in guardia l’Italia dall’abbandono dell’Atlantismo e teme i risvolti della pericolosa alleanza italiana con la Cina e della deindustrializzazione del nostro Paese (il caso Ilva è solo l’ultima propaggine di almeno trent’anni di sbagliati investimenti e scelte manageriali discutibili che hanno fortemente ridimensionato il know how dell’industria italiana).
Il disimpegno Usa e la debolezza politica dell’Europa hanno aperto degli spazi che sta riempendo la Cina, capace di raccogliere ed elaborare i nuovi impulsi provenienti da un sistema economico globale (l’Africa per prima) che chiede protezione all’interno di una grande rete certificata. E chi controlla le reti e le piattaforme vince e impone la sua cultura.
I lavori ampliamento dei Canali di Suez e di Panama, del resto, hanno evidenziato ancora una volta il ruolo strategico delle connessioni marittime che stanno determinando profondi mutamenti sul sistema delle relazioni economiche e geopolitiche degli Stati.
I cambiamenti in atto nel Mediterraneo impongono di considerare le opportunità che l’Europa del Sud potrebbe cogliere grazie alla sua posizione geografica, con un ruolo da protagonista nel riassetto degli equilibri internazionali, nonché di determinare le importanti occasioni di sviluppo economico, sociale, culturale, demografico e umano all’interno di tutta l’area mediterranea, dove transita oltre la metà del traffico marittimo globale diretto verso i porti del Nord Europa, senz’altro molto più efficienti in termini di servizi e di costruzione di un ecosistema positivo agli investimenti.
Tutte condizioni imprescindibili, queste, per conferire all’Europa meridionale una più ampia sovranità per sviluppare e rendere operativo il quadro delle reti Ten (reti di trasporto trans-europee) che permettono di seguire, intercettare e indirizzare i nuovi trend geoeconomici e geopolitici, dai quali il Mediterraneo allargato non può essere escluso, pena la perdita per l’intera Europa di un hub straordinario per riconquistare un ruolo centrale nel traffico commerciale marittimo e nella gestione degli approvvigionamenti energetici.
L’Europa, però, non solo quella del Mediterraneo, non c’è più e allora è la Cina che sta imponendo un nuovo concetto di spazio e di soft power in tutti gli ambiti del suo spirito creativo, senza escludere l’istruzione e l’educazione grazie alle attività degli Istituti di Confucio e alle centinaia di scuole costruite in Africa dove i bambini studiano letteratura e cultura cinese, e si preparano inconsapevolmente a diventare gli ambasciatori della Cina nel nuovo spazio globale.