Nord e Sud accomunati dalle calamità naturali. L’Italia, tante volte divisa, in queste ultime ore si è unita ma nel segno, purtroppo, del dissesto idrogeologico. I casi più eclatanti giunti alla cronaca, dopo giorni di piogge interminabili, sono quelli di Venezia, con un’acqua alta record che addirittura sta mettendo a rischio inestimabili opere d’arte, come la basilica di San Marco stessa, danneggiata da un’inondazione, e Matera, la città dei sassi, capitale della Cultura, sommersa dall’acqua. Ma cosa sta succedendo al nostro suolo e al nostro Paese? A che punto siamo con il dissesto idrogeologico e con i progetti e le infrastrutture italiane per scongiurare continue emergenze quotidiane? Formiche.net lo ha chiesto a Erasmo D’Angelis, segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale del Centro Italia, inventore di Italia sicura (creata da Renzi, struttura ad hoc per prevenire il dissesto idrogeologico) che ha coordinato per tre anni.
Cosa sta accadendo in questa Italia che sembra unirsi sotto un’ondata di maltempo e calamità naturali?
Sta succedendo qualcosa che tutti gli scienziati da circa 30 anni stanno dicendo. A cominciare dai report dell’Onu, dai rapporti italiani del Cnr, di Ispra e di tutti gli istituti scientifici che analizzano l’evoluzione climatica e la tenuta dei nostri territori. Si può dire che sono in corso più effetti dei cosiddetti cambiamenti climatici.
L’aumento delle temperature, e delle temperature del mare, sta producendo effetti a cascata, che si riverberano sui territori. Sono effetti che producono un’accelerazione e un aumento di eventi che un tempo definivamo estremi, ma che purtroppo ora sono diventati ordinari. Mi riferisco ad esempio ai flash flood, ai tifoni, agli uragani, a quelle che adesso vengono chiamate anche bombe d’acqua. Piogge a carattere esplosivo che cadono in aree sempre più ristrette e, soprattutto, in tempi più ristretti, come accaduto a Matera e come sta accadendo su tutta la penisola, con un allerta meteo che interessa fino ai prossimi dieci giorni. Le piogge che si stanno verificando, equivalgono a quelle che cadrebbero in un mese, due mesi, addirittura sei mesi. Le bombe d’acqua ci sono sempre state nella nostra storia, ma un’accelerazione come questa non si è mai verificata. E questo è un dato inoppugnabile. Abbiamo però anche altri dati da elencare per capire questi fenomeni.
Quali?
Ad esempio, l’altra faccia della medaglia degli eventi che derivano dai cambiamenti climatici. Abbiamo circa 20mila ettari di aree italiane, soprattutto al Sud e nelle isole, soggetti a inaridimento. Ovvero lunghi e prolungati periodi di siccità con effetti non trascurabili. Siamo un pontile lanciato nel mare, siamo uno dei Paesi più esposti al mondo, con il nostro sbocco sul Mediterraneo, perciò su questo versante dobbiamo fare molta attenzione.
Il terzo effetto infatti è l’innalzamento del mare. Non ce ne accorgiamo, ma da circa un secolo è in corso un leggero innalzamento dei livelli del mare che nel 2030-2050 arriverà a circa 15 cm e a fine secolo si attesterà fra i 60 e i 100 cm.
Cosa significa questo?
Significa quello che abbiamo visto a Venezia. La modellistica e le proiezioni scientifiche di Enea, del Centro Euro Mediterraneo per i cambiamenti climatici, ci dimostrano che almeno 40 litorali italiani costieri – parte del Veneto bagnato dall’Adriatico, della Versilia, zone adriatiche pugliesi, coste della Campania – vedranno il verificarsi di un’invasione del mare e noi lo stiamo già rilevando oggi. Abbiamo alcune coste laziali e quelle della Maremma toscana dove ormai non si annaffia più perché c’è il cosiddetto cuneo salino: l’acqua del mare penetra dentro gli acquiferi costieri di acqua dolce e inquinano l’acqua dolce. La conseguenza è che non si possono annaffiare i terreni con quell’acqua.
Che altri tipi di problemi si innescano?
Un altro problema è che non abbiamo difese. Esistono tante aree portuali, aree urbane e aree coltivate che sono vicino all’acqua. Ovvero necessità di infrastrutture e investimenti.
Ma è l’urbanistica un nodo scoperto. Ci sono state delle vere follie urbanistiche in Italia. Il nostro è l’unico Paese al mondo che fino al 1950 il costruito era di circa il 2,3% del territorio nazionale edificato. Dal 1950 a oggi, un flash nella nostra storia totale, siamo arrivati al 7,5%.
Si può costruire, le città si debbono espandere, ma non su aeree alluvionali e franose come è accaduto. Adesso ci ritroviamo tra i 10 e i 12 milioni di italiani che abitano in luoghi definiti alluvionali e franosi. Questa è la realtà italiana.
Che fare?
Il clima è la battaglia fondamentale da combattere. La riduzione delle emissioni è su scala globale anche se l’Italia ad esempio è tra i Paesi più avanzati al mondo sulla lotta ai cambiamenti climatici. Siamo il primo Paese per consumi elettrici da rinnovabili. Abbiamo circa il 43% di consumi elettrici stabili che derivano dall’energia rinnovabile. Quindi sull’energia solare e geotermia siamo primi al mondo. Dato molto positivo perché dimostra che gli italiani con gli incentivi sanno investire sulle rinnovabili. Naturalmente la sfida è globale e alcune procedure sono ferme.
Questa però è una battaglia che va coniugata con le difese a terra. Nel piano di Italia Sicura ci sono sempre 10mila opere da realizzare in tutte le Regioni, che vanno da contenimenti di fiumi e di frane, a opere contro gli allagamenti e i versanti franosi. Il punto vero è che c’è un’emergenza progettazione perché il progettato è solo il 7-8%, tutto ancora in cantiere. Noi non abbiamo più un problema di risorse. Abbiamo circa 12 miliardi tra ministeri, dipartimento Coesione e Protezione civile, quindi le risorse per investire che noi come Autorità di bacino pianifichiamo, ci sono. Il punto è che manca la progettazione, cioè non si progettano le opere e perciò non vanno a cantiere.
Parlando di opere e progetti, sono tornate, insieme all’acqua alta a Venezia, le polemiche sul Mose…
Il Mose è uno dei progetti più grandi mai pensati, un impianto di circa sei miliardi di euro. C’è stato lo scandalo delle tangenti, i lavori fermi per la vicenda giudiziaria, ma poi ora si scopre che mancherebbero solo 8 mesi di lavoro per verificare se funziona. Questo innanzitutto sarebbe opportuno saperlo. Ma l’aspetto drammatico di questa vicenda è che per puntare all’infrastruttura grande si sono dimenticati delle piccole-grandi opere che andavano fatte come la manutenzione dei canali e di tutta l’area lagunare. Piccoli-grandi lavori che non sono stati più fatti in attesa del Mose.
Certamente ci possiamo difendere. La questione climatica può diventare drammatica per noi italiani. Serve una cabina di regia nazionale, anche in previsione di circa 50 miliardi che arriveranno da finanziamenti europei, una task force per settori che faccia questo h24, perché più passa il tempo più questi episodi creeranno forti disagi.
L’Ecobilancio, presentato insieme alla manovra da approvare, ha in previsione di lasciare 4,5 miliardi per ambiente e dissesto idrogeolico. Cosa ne pensa di questa misura?
Non guardiamo alla manovra perché andiamo fuori strada. Sul dissesto le risorse ci sono e sono già ritagliate fra ministero dell’Ambiente, dipartimento di Coesione, Protezione civile. Manovra o non manovra le risorse sono pronte per essere utilizzate. Le Regioni però devono presentare i progetti. L’Italia è un Paese che non progetta più. Con la legge Merloni è stato tolto l’incentivo ai tecnici per le progettazioni – una percentuale del progetto prima andava ai tecnici – ma deciso questo, lo Stato non progetta più. Il che è una follia sotto tutti i punti di vista. È necessario incentivare a progettare i migliori tecnici della Pa. Una quota si potrebbe mandare a mercato, ad esempio alle società di ingegneria.
(Foto: account Twitter Comune di Venezia)