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Pippo Baudo, Giobbe Covatta e Valeria Fedeli alla presentazione del libro di Veltroni. Le foto

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Laura Ravetto, Dario Ginefra
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Luigi Coldagelli
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Marco Risi
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Marianna Madia
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Paolo Franchi, Berta Zezza
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Pippo Baudo, Laura Ravetto, Andrea Vianello
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Valeria Fedeli
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Valeria Fedeli, Walter Veltroni
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Walter Veltroni
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Walter Veltroni
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Walter Verini
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Claudia Giubilei e Giuliano Giubilei
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Franca Leosini
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Paola Catella, Giobbe Covatta
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Giobbe Covatta
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Il nuovo libro di Walter Veltroni “Assassinio a Villa Borghese” presentato alla casa del Cinema di Roma, è uscito il 7 novembre per Marsilio. Il testo inaugura la nuova collana le Lucciole, dedicata a indagini brevi di autori italiani che mescolano suspense, commedia e sentimenti. Un romanzo incisivo, che racconta una storia e che non vuole enunciare messaggi. Un quadro di devastata modernità che tanto e forse troppo assomiglia all’aria che si respira camminando per la città.

Definito dal Corriere delle Sera un fitto, intricato mistero che si impianta e si ramifica attorno a una serie di efferate uccisioni, atroci e legate fra loro in un’incomprensibile sequenza, in un luogo che fa parte dell’identità di una città e forse di un intero Paese, il parco pubblico urbano più grande d’Italia. Dove si decide di porre la sede di un nuovo commissariato, riempito di rifiuti solidi inurbani, poliziotti di scarto di cui altrove non sembra esserci bisogno: il narcolettico, il miope, l’ipocondriaco, i gemelli bigotti, il discriminato e la miss senza difetti ma piena di complessi. E l’indagine nasce e si svolge in quel luogo fatto di ombre e di pericolo, in un bosco di notte come nelle favole, pieno di lupi senza volto.

In merito al suo nuovo libro Veltroni afferma in un intervista al Corriere della Sera -“Non aspettatevi di trovare personaggi il cui comportamento sia intuibile in anticipo, che siano definiti nei confini e riconoscibili nelle reazioni: e ciò avviene per l’utilizzo sapiente delle imperfezioni. Da un lato e dall’altro della barricata, vittime e colpevoli e investigatori sono profondamente imperfetti, portatori di paranoie e follie e inclinazioni e fobie, patologici e refrattari all’aiuto e alle relazioni. Ne viene fuori l’acuta metafora di una vita quotidiana fatta di profonde solitudini digitalmente connesse, di immagini mostrate di sé che divergono profondamente dalla realtà e che alla fine sono assolutamente rivelatrici di un sottomondo di segno opposto a quello che cammina in superficie”. E continua – “l’enunciato di questo racconto è semplice e terribile: camminiamo per una strada nel bosco, e crediamo di conoscere quel bosco. Ma non abbiamo la minima idea di chi si nasconda negli anfratti, né di quello che cammina dentro i tombini; quelle belve non sono altro che una faccia di noi stessi”.

(foto Umberto Pizzi.Produzione Riservata)



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