Ancora una volta parliamo di Sud. Ogni volta che lo si fa, si rischia di cadere nella retorica. Ieri il premier Giuseppe Conte intervenendo ad Arezzo, all’assemblea nazionale Anci, ha affermato che contro lo spopolamento che caratterizza il meridione la misura è “resto al Sud”. Si può anche essere retorici ma bisogna pur raffigurare il ruolo di questo meridione che si trova tra il mediterraneo e il paese. Un bel libro di Georges Simenon racconta cos’era il mediterraneo in barca nell’estate del 1934: “Qui la crisi nessuno la nomina. E quando dico qui, mi riferisco a tutto ciò che si affaccia su questo bacino azzurro chiamato Mediterraneo”. Fabio Mini, che è stato un generale con più di 40 anni di servizio militare sulle spalle, ci descrive invece il mediterraneo non come un mare e nemmeno come una frontiera liquida che si può espandere a piacimento: “È un insieme di terre – spiega in “Mediterraneo in guerra”- popoli e culture diversi impregnati di sentimenti e atti di guerra. Basta guardarsi intorno per vedere i segni indelebili delle guerre, da quelle puniche a quella post-nucleare.
È sorprendente perché unendo l’ottica militare a quella socio-politica si scoprono le ragioni delle infinite guerre mediterranee e i possibili sviluppi di quelle a cui stiamo assistendo”. Cosa può fare il meridione d’Italia per questa area? Può salvaguardare il mare mediterraneo proprio ai fini della sicurezza, promuovere una crescita sostenibile in termini economici, sociali e culturali in tutta l’area sia nelle regioni del sud Europa che in quelle del nord Africa. Sviluppare e gestire un piano condiviso di utilizzo delle energie alternative. Migliorare le infrastrutture stradali e ferroviarie, porti, interporti e aeroporti e istituire zone economiche speciali per creare nuove opportunità di sviluppo, sviluppando una rete immateriale per i servizi alle persone ed alle imprese, sviluppare la filiera agro-alimentare e seguire i mercati di consumo. Il sud se rialza la testa, è fondamentale per il destino dell’Italia intera. Ma perché ciò accada occorre fare in modo che gli investimenti al Sud possano moltiplicarsi.
Ci vuole quindi, una politica di sviluppo che possa poggiare su un ampio consenso sociale che sia anche garante della tutela della legalità, e della lotta alla corruzione. Si deve riunificare il nostro Paese, facendo in modo che la questione meridionale diventi un presupposto nazionale. Lo sviluppo autopropulsivo deve basarsi su una progettualità strategica, in cui le infrastrutture e la logistica sono centrali. C’è bisogno delle infrastrutture per la ricerca, di un piano per la logistica, di uno per il turismo, di un piano per la banda larga, di un piano per la manifattura di qualità. Ciò significa industria intelligente, biotecnologie, patrimonio culturale, manifatture speciali, tutela delle eccellenze industriali esistenti. Occorre saper usare i fondi strutturali europei, liberando le risorse bloccate per progetti mai realizzati. Ricapitolando: Pil pro capite, condizioni di vita, diritti sociali, libertà civili dicono che il mezzogiorno rimane arretrato rispetto all’Europa. Forse sarà retorica ma al sud occorre pure modificare quel contesto che frena lo sviluppo, spezzando quelle catene che finora lo hanno condannato all’arretratezza.