Facciamo un passo indietro. Anno 2010, Inghilterra: 3 deputati del partito laburista vengono filmati mentre fanno promesse al presunto emissario di un’impresa americana (in realtà un giornalista televisivo) interessata a fare affari sull’isola. Sostegno garantito in Aula, garantivano i laburisti. In cambio, ovviamente, di lauti compensi (non meno di tremila sterline al giorno).
Fu più o meno in quei giorni che un profetico Cameron dichiarò pubblicamente che quello del corporate lobbying sarebbe stato il “prossimo grande scandalo” a scoppiare.
Detto, fatto. Cameron ci ha preso due volte. La prima per lo scandalo che nel 2011 portò il tycoon della comunicazione Murdoch a chiudere uno dei quotidiani di punta del suo gruppo, il News of the World, coinvolgendo Scotland Yard e lo stesso Cameron. Le cronache di quella estate rivelarono un sistema di relazioni fitto, e per nulla trasparente, tra faccendieri, giornalisti e lo staff di Downing Street. Fiutata la preda, il Guardian non la mollò più. Ad agosto rivelò di essere in possesso di alcune lettere inviate dalle associazioni di beneficenza del Principe Carlo ai membri del Governo (dalle quali emergevano forti pressioni del primo sui secondi, relativamente a temi del tutto estranei alla beneficenza). Subito dopo si avventurò in una coraggiosa una campagna mediatica per selezionare mille cittadini comuni e affidargli provocatoriamente le grandi riforme sul sistema bancario e sulla politica. Una sorta di “remote interest group”, come lo chiamò il quotidiano, chiamato a scalzare la “feral elite” ingessata al potere.
La seconda volta che Cameron ha fatto centro è proprio in questi giorni. 4 parlamentari, un conservatore ai Comuni e 3 Lord, due laburisti e un unionista nordirlandese, sono stati scoperti nuovamente con le mani nel sacco. Ne scrive Fabio Cavalera sul Corriere della Sera di oggi. E’ la solita storia di intrighi, soldi e potere. Promesse di sostegno elettorale in cambio di qualche migliaio di sterline. La stampa non è stata tenere nemmeno questa volta (Qui il servizio del Mail). I giornalisti raccontano di gruppi parlamentari “all-inclusive” creati appositamente per favorire gli interessi dei lobbisti, di viaggi all’estero (Qui il servizio del Telegraph) e riprese con telecamere nascoste stile “Le Iene” (Qui il servizio della BBC).
Ed è così che anche in Inghilterra il tema del lobby è tornato improvvisamente di gran moda. Andrebbe riformato, dicono tutti, ma da 3 anni qualsiasi tentativo in tal senso è fermo al palo. Segno che grande condivisione intorno al tema non c’è. E il fatto di avere già un sistema di regole (oltre che la democrazia più trasparente al mondo) non sembra essere di grande aiuto.
Noi italiani che le regole sulle lobby non le abbiamo, e la trasparenza la conosciamo per sentito dire, possiamo solo insistere affinchè la loro disciplina prenda lo stesso treno della riforma del finanziamento pubblico ai partiti. Lo ricorda ancora una volta Angelo Panebianco sull’editoriale del Corriere della Sera di oggi. “Naturalmente, quando si parla di denaro e politica tutto si tiene” – spiega Panebianco, che poi aggiunge – “Non è possibile far decollare un sistema trasparente di finanziamenti volontari alla politiva, senza dare anche un’efficace statu legale all’attività lobbistica. Una attività da sempre criminalizzata d coloro (esistono ancora, e sono tanti, in barba alle lezioni del Novecento) che continuano ad avversare il capitalismo di mercato“.