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Un concorso per le scuole di Roma. E una provocazione…

Di Tobia Zevi

Il 26 settembre abbiamo presentato a Roma un’indagine sulla scuola romana, condotta dall’istituto Piepoli e promossa dall’Osservatorio Roma! Puoi dirlo forte. Abbiamo studiato la percezione che genitori e studenti romani hanno della scuola (i dati erano comparati con quelli di genitori e studenti di altre capitali d’Europa). L’obiettivo che ci eravamo dati era quello di valutare la percezione degli istituti scolastici relativamente alla qualità dell’insegnamento, alle strutture scolastiche e alle dina-miche sociali e culturali (la ricerca la trovate qui). Sintetizzando all’inverosimile: la ricerca ci dice che i romani non sono contenti di quello che la scuola offre – soprattutto in termini di infrastrutture, ma non solo – però credono nell’istituzione scolastica. Si tratta di una contraddizione solo apparente.

Un mese dopo abbiamo lanciato il concorso www.romasiprogettaascuola.it. Grazie al sostegno economico di Enterprise – azienda romana leader nell’innovazione tecnologica in ambito bancario – abbiamo deciso di investire nelle capacità di studenti, genitori, professori, dirigenti scolastici e personale amministrativo. Abbiamo immaginato un concorso nel quale chiedere ai partecipanti di pro-gettare un intervento per la propria scuola; il migliore, o i migliori, saranno premiati fino a un mas-simo di venti mila euro complessivi. Perché la scuola? Un vecchio organizzatore della società civile americana – Saul Alinsky, l’inventore del Community Organizing – avviava il suo lavoro di “sindacalista” dei territori in crisi individuando, appunto, delle “istituzioni àncora”. Gli scogli ai quali le comunità si aggrappano per mantenere aggregazione sociale e reinvestire in progettualità condivisa. La città si ripiega su se stessa e la scuola produce, suo malgrado, un surplus di convivenza altrove assente. Di qui l’intuizione di partire dalle scuole romane.

Le ispirazioni e le fonti sono molteplici. Il punto di partenza è la piena consapevolezza che l’investimento in conoscenza, istruzione e formazione è indispensabile non solo all’Italia, ma in particolar modo alle sue città metropolitane: esse sono destinate a essere, in un futuro ancora da co-struire, hub di sviluppo, soprattutto nei comparti per i quali è richiesta la condensazione più alta di conoscenza e saperi. Le città, inoltre, sono “condannate” a divenire anche hub dell’inclusione sociale, se non vogliamo che il Mediterraneo conosca un livello di conflittualità da metropoli sudamericana o da romanzo di-stopico. Come ci ricorda il Sole 24 Ore, la ricchezza delle classi medie, e medio-basse, è messa a dura prova: i 12,2 milioni di contribuenti che guadagnano fra i 15 e i 26 mila euro hanno perso in 10 anni il 10% del reddito; nello scaglione da 26 a 55mila euro di reddito annuo si registra un calo de-cennale dell’11,7%; chi guadagna sotto i 15 mila euro, invece, ha perso il 13% (le famiglie a basso reddito). L’Italia delle classi medio-basse indietreggia, come quella delle classi medie. Senza politi-che adeguate che aiutino il Paese a trovare una via di uscita, il futuro delle città è un futuro grigio, che pagheranno le generazioni future.

Di qui il punto centrale: in un quadro di intervento strategico su molteplici politiche pubbliche, la formazione continua a svolgere un ruolo centrale nella costruzione di futuro. Prima della crisi, ci siamo illusi che bastasse formare e aumentare le competenze di eccellenza per stare al passo con la competizione della Global Cities mondiali (e già questo non è il caso di Roma, che ha mancato uno sviluppo adeguato a quel contesto). Dieci anni dopo la crisi dobbiamo abbandonare il feticcio dell’eccellenza per tornare a migliorare la qualità media delle competenze dei futuri protagonisti dei mercati, delle istituzioni e delle società del futuro urbano del Paese. E in primis della sua Capitale, tornando a investire sull’istruzione in modo coordinato e generale. In una città che, dall’inizio della Grande Recessione, nel 2007, ha perso quasi il 7% del PIL.
I dati elencati dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco li conosciamo e sono spaventosi, ma vanno riportati ancora: 1) nel 2018 solo il 62% della popolazione italiana nella fascia di età 25-64 aveva concluso un ciclo di scuola secondaria superiore, contro l’83% della media dei paesi Ocse; 2) tra le coorti più giovani (25-34), il divario con le altre economie avanzate è più contenuto ma persiste (76 contro 85%); 3) è molto modesta la quota dei laureati (un 28 contro 44%); 4) i recenti risultati dei test Invalsi indicano che una quota significativa di alunni non possiede un livello adeguato di conoscenze in italiano; 5) la percentuale di studenti che non padroneggia in maniera adeguata una lingua straniera, nello specifico l’inglese, aumenta nel corso dell’itinerario scolastico, fino ad assumere dimensioni preoccupanti all’ultimo anno di scuola. Per tacere dei Neet (Not in education, employment, or training), mentre siamo quart’ultimi in Europa per conoscenze digitali.

Quello che serve è un Piano Marshall per l’istruzione italiana, sebbene non manchino proposte puntuali e intelligenti come quella di poter destinare l’Otto per Mille del proprio Irpef proprio alla scuola. Abbiamo citato i dati italiani, corroborati dai recentissimi test Pisa che vedono i nostri studenti arretrare in italiano e scienze. Roma non si trova sullo stesso crinale delle zone più in difficoltà in termini di povertà educativa – le grandi città del sud – ma possiede, anzi, dati confortanti. In termini di abbandono scolastico registra il 9%, fa meglio cioè solo Padova, che ha una media di diplomati fra le più alte d’Italia ed è in media nazionale nelle competenze alfabetiche e numeriche dei suoi studenti; continua a essere la città che attrae il maggior numero di studenti universitari nel Paese. Ma come nel resto d’Italia, il vero fardello della città sono le diseguaglianze interne: la quota dei laureati ai Parioli (circa il 40% degli abitanti, la più alta di Roma), è 8 volte superiore a quella di Tor Cervara (il 5,2% del totale).

Questa diseguaglianza porta disparità di accesso al lavoro e ai redditi. Nei quartieri di Roma dove c’è meno istruzione c’è anche meno ricchezza, meno opportunità.
Nel nostro percorso dentro Roma, dove abbiamo già incontrato ottime energie – presidi, professori, genitori, studenti… – abbiamo percepito la necessità della politica: la base per lo sviluppo della conoscenza e della competenza come motore di rinascita, per quanto distribuita in modo diseguale, esiste. Come metterla a sistema? Come mettere in rete l’incredibile risorsa degli Atenei romani, per esempio? Il nostro concorso è un piccolo aiuto: sostenere un “buona pratica”, e soprattutto parlare, ogni giorno, di scuola. Ma non basta.

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