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Stabilizzare la Libia e rivedere le sanzioni. Di Maio a colloquio con Lavrov

Libia e sanzioni, più in generale i rapporti tra Italia e Russia, ma soprattutto dossier operativi: l’incontro tra il ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, e l’omologo russo, Sergei Lavrov, oggi, a Villa Madama, con il capo della diplomazia del Cremlino che era a Roma in occasione del Med2019 di Ispi.

“Italia si muove nel solco dell’Ue, ma – dice l’italiano durante la conferenza stampa congiunta – vogliamo promuovere una riflessione politica in sede Ue che preveda gli effetti sulle nostre aziende delle sanzioni e contro sanzioni russe. Nello stesso tempo servono anche passi avanti sull’accordo di Minsk, fondamentale per riuscire a scongelare la situazione”. Si parla della guerra nel Donbas, l’area orientale dell’Ucraina in cui i ribelli filo-russi hanno creato due repubbliche autoproclamate. Mosca è sotto sanzioni per l’aiuto ai ribelli e per l’annessione illegittima della Crimea dal 2014, ma l’Italia negli ultimi due anni ha più volte preso una traiettoria favorevole a una revisione del regime, pur confermando a ogni appuntamento di rinnovo le misure in sede europea.

“Ho espresso a Lavrov l’esigenza di rimuovere una sanzione che secondo me non rientra nei parametri di quelle ideate nei confronti dell’Ue che riguarda il Parmigiano Reggiano, perché non rispecchia i parametri di altre sanzioni”, ha detto il leader del M5S. In passato le posizioni troppo aperte sul sollevamento del regime punitivo sono state criticate dagli Stati Uniti, che con la Russia non gradisce scatti in avanti dal blocco compatto Usa-Ue che l’ha sanzionata. A oggi, non ci sono sviluppi sostanziali in Ucraina. Si combatte ancora, e secondo varie ricostruzioni la Russia dà man forte ai ribelli separatisti. Contesto che non solo non permette la rappacificazione come fissato a Minsk, ma non permetterebbe nemmeno l’eliminazioni della sanzioni europee.

Confermando le voci su una possibile visita a Mosca – ci sarà, a luglio 2020 – di Maio ha anche affrontato con i giornalisti un dossier strategico per l’Italia come la Libia. Ci sono contractor russi sul fronte opposto a quello che l’Italia e la Comunità internazionale tutta sostiene almeno formalmente, il Governo di accordo nazionale (Gna) che l’Onu ha installato a Tripoli. Militari e strumentazioni sofisticate stanno aiutando in forma clandestina il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, nel suo piano di conquista della capitale.

Il ministro degli Esteri italiano ha detto di aver “rappresentato a Lavrov le nostre preoccupazioni per l’intensificarsi della guerra civile in Libia”, sottolineando che “non esiste una soluzione militare”. Passaggio sul tema caldo del momento: l’accordo sui confini marittimi siglato a Istanbul tra il presidente Recep Tayyip Erdogan e il capo del Gna, Fayez al-Serraj. Il ministro italiano dice che “l’accordo è tutto da dimostrare”, facendo capire che l’intesa non è troppo apprezzata dall’Italia, tagliata fuori da due attori che dovrebbero essere interlocutori sul dossier libico.

Il tema Libia è centrale, e Di Maio – che finora non è stato molto assertivo sul dossier – ha usato l’incontro con Lavrov per recuperare, almeno sul piano retorico, un po’ di terreno. Nessuna accelerazione, fiducia nella conferenza di Berlino (momento che l’Onu e la Germania sperano possa servire da stabilizzatore e contatto tra Serraj e Haftar e relativi blocchi), fermare le armi. La Libai, ha detto di Maio, non è “soltanto un conflitto tra le parti libiche, ma vede troppe interferenze, ogni iniziativa dovrebbe entrare nell’alveo della conferenza di Berlino, non perché c’è una presunzione di superiorità europea, ma se tutti sono impegnati a lavorare sul cessate il fuoco è importante non promuovere fughe in avanti”.

Risposta di Lavrov: “Sono pienamente d’accordo con Di Maio: la situazione in Libia è estremamente complessa perché ci sono troppi giocatori e si sollevano troppe domande su chi è legittimo e chi più legittimo”. E però la Russia in Libia ha inviato contractor militari di una società che è molto vicina al Cremlino, e che il governo usa per fare il lavoro sporco. Almeno stando a diverse ricostruzioni di stampa che hanno trovato conferma anche dall’amministrazione americana.

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