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Il prof. Conte fissa la verifica. Check up a gennaio oppure…

Il governo mangerà il panettone, poi si vedrà. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte esce da palazzo Chigi per il consueto caffè del lunedì mattina a piazza Colonna. Tra un sorso e un altro snocciola la road map di una maggioranza malconcia. La crisi sul Mes e sulla prescrizione è rimandata a data da destinarsi. Anche i grillini della vecchia guardia, vedi il ministro della Giustizia nonché padre della riforma finita nel ciclone Alfonso Bonafede, hanno rinfoderato la spada per scendere a compromessi e dare un po’ di ossigeno al governo.

Attenzione, spiega però il premier, non si può far finta di nulla. Anno nuovo, vita nuova, o si mette un punto e a capo: “A gennaio, vedrete, sarò io per primo che inviterò tutte le forze politiche a fare chiarezza sugli obiettivi”. Il professore fissa dunque la verifica a gennaio, mese chiave per le sorti dei rossogialli. Il 12 scadono i termini per depositare la richiesta di un referendum confermativo del taglio dei parlamentari.

Tradotto: se non ci sono i numeri, e al momento non ci sono, la riforma va avanti, entra in vigore e alle prossime elezioni si voterà per un Parlamento quasi dimezzato. Chi già oggi fatica a vedersi in futuro seduto sul suo scranno potrebbe a quel punto decidere di tagliare la corda. È un pensiero che tenta molte onorevoli coscienze in queste ore.

Conte certifica che al ritorno dalle feste ci sarà un check up decisivo. “Noi abbiamo preso l’impegno di governare fino al 2023, alcune urgenze che il Paese ci chiede sono riforme strutturali e non possiamo prendere in giro i cittadini, non si fanno in due mesi, abbiamo bisogno di tempo per cambiare il Paese – spiega il premier. Poi un avviso alla maggioranza, con un occhio a Italia Viva di Matteo Renzi, che proprio il 15 gennaio svelerà i dettagli del “piano infrastrutture” da 100 miliardi già ribattezzato in tono dispregiativo “contromanovra” al Nazareno. “Poi le forze politiche hanno un orizzonte diverso ce lo dovranno dire, lo dichiareranno e ci confronteremo”.

L’appello non viene solo dal presidente del Consiglio. Proprio oggi un padre nobile del Pd che quasi mai parla a vuoto, Goffredo Bettini, ha chiarito la posta in gioco senza mezzi termini. “A gennaio avremo una verifica di governo, o si approva o non si approva, non possiamo stare sospesi ogni giorno a Di Maio e Renzi”. Se a dirlo è chi ha cerimoniato le nozze fra dem e Cinque Stelle significa che la pazienza è davvero arrivata al limite. Gli fa eco il ministro della Salute Roberto Speranza: “dobbiamo continuare a investire parlando il meno possibile di noi e il più possibile delle cose fatte”.

Perfino Roberto Fico, che certo non è allergico al sodalizio, lancia un segnale da Montecitorio. “La maggioranza dovrà fare il suo percorso, sta a loro decidere il modo migliore per farlo”. Purché, dice, ci sia un minimo di convergenza programmatica. Un ritorno alla vecchia formula del contratto di governo, che pure qualcuno al Nazareno chiede a gran voce, “diventa un provvedimento a me e uno a te e non è la costruzione di una visione di Paese”.

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