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Quando Xi incontrò Renzi. Quella lezione di (non) democrazia spiegata da Sangiuliano

Sardegna, novembre 2016. Matteo Renzi, premier ancora per poco, siede a tavola con Xi Jinping, presidente della Cina. Non una visita ufficiale. Il segretario del Partito comunista cinese ha fatto scalo sull’isola e si ferma per poche ore con la moglie. Dopo un breve tour fra rovine fenicie, puniche, romane nell’area archeologica di Nora, in una location d’eccezione, l’elegante Forte Village di Santa Margherita di Pula, si consuma la cena fra leader avvolti nei cappotti di feltro. A fine pasto Renzi si concede un off-topic. “Presidente, quando arriverete alla democrazia?. Un azzardo, insegna il protocollo di Pechino. Raramente i leader asiatici, e tanto più il presidente cinese, sono felici di ricevere domande sui diritti umani. Xi invece non si scompone. Con il solito tono serafico gli risponde: “Democrazia? E perché? Se vedo quello che è successo in Gran Bretagna con Brexit, quello che è successo alla Clinton, e quello che potrebbe succedere a lei con il referendum, mi domando: la democrazia è la soluzione migliore?”.

Questo uno dei tanti aneddoti con cui Gennaro Sangiuliano traccia col pennello fino il ritratto biografico di Xi nella sua ultima fatica editoriale: “Il nuovo Mao” (Mondadori)”. Un’inedita panoramica sulla vita del più ermetico e potente uomo al mondo.

Una domanda percorre da cima a fondo il libro. Quanto racconta la vita di un uomo, leader, capo di Stato del suo popolo, della sua nazione, della sua cultura? Come Plutarco nelle “Vite Parallele” raccontava vizi e virtù dei grandi uomini del passato, così oggi il direttore del Tg2 attraverso le biografie dei grandi leader mondiali apre uno spaccato sui segreti e le contraddizioni delle società e delle nazioni che li hanno elevati all’altare. Dopo Hillary Clinton, Vladimir Putin e Donald Trump è ora il turno di Xi, il presidente-a-vita che, almeno secondo la rivista Forbes, detiene nelle sue mani un potere senza eguali.

Presentato al Centro Studi Americani di Roma lunedì assieme al leader di Azione Carlo Calenda, all’eurodeputato del Pd Massimiliano Smeriglio e al presidente della Rai Marcello Foa e al giornalista Marco Frittella, il libro ha innescato un vivace dibattito sul nuovo corso “imperiale” della Cina di Xi. Un Paese che l’Occidente non ha saputo comprendere fino in fondo, complice una distorsione mediatica che vuole applicare all’ex Celeste Impero parametri di giudizio che non gli appartengono.

Si tende spesso a ridurre, ad esempio, l’identità e la cultura cinese a quella della Cina comunista, che invece è solo l’appendice di una storia millenaria. “Il comunismo – spiega Sangiuliano – non ha scalfito la ricchezza della cultura cinese, che è tutt’oggi profondamente ancorata al sistema della famiglia”.

Anche la mitologia imperiale introdotta da Xi si rifà a un passato lontano e glorioso: “Come Putin ha voluto riconnettersi alla Grande madre Russia di Pietro il Grande, Caterina, Dostoevskij, anche Xi vuole recuperare la tradizione imperiale cinese”. La forma è sostanza. “Quando è venuto a Roma aveva a tutti gli effetti con sé un corteo imperiale, più di cinquanta macchine, due medici personali, quattro assaggiatori, ci volevano 20 minuti solo per farlo passare”. In questo senso il presidente cinese non è solo “il nuovo Mao”, è molto di più.

Il potere che detiene per sé è senza precedenti, e non viene condiviso con facilità. Un potere dispotico, con buona pace di chi in Occidente si era illuso che l’apertura della Cina ai mercati globali e la crescita economica avrebbero automaticamente imboccato la strada della liberalizzazione politica.

“Un’ingenuità tipica dell’Occidente è stato credere che con le merci sarebbe arrivata la democrazia, Hong Kong, impegnata in una resistenza eroica, è la prova del contrario – rincara Calenda in video collegamento da Bruxelles – oggi la Cina avrà anche un sistema di welfare, infrastrutture, e sviluppo ma si tratta comunque di un benessere molto divaricato fra classi sociali. Queste stesse divisioni sono presenti nelle democrazie, che con il tempo però riescono ad assorbirle. Le dittature no”.

Con questa realtà nel suo complesso bisogna fare i conti. Se per Parag Khanna il XXI sarà il secolo asiatico, Sangiuliano restringe il campo: sarà senza dubbio il secolo cinese. Competizione e cooperazione si alterneranno di continuo nel rapporto delle democrazie occidentali con il Dragone. C’è un paletto però che l’Occidente non può rimuovere: i diritti umani. “La crescita cinese ha profonde implicazioni etiche – conclude Foa – la questione dei diritti umani è un interesse geostrategico dell’Occidente, se si cede su questo rimane solo l’indignazione all’acqua di rose o al massimo una benevola distrazione”.

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