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Cosa mi convince (e cosa no) della tregua di Salvini. Parla Rotondi

Per un attimo qualcuno ha creduto che Gianfranco Rotondi, deputato di Forza Italia, democristiano doc, tra i più pungenti critici della Lega di Matteo Salvini, avesse di colpo cambiato idea. Su Twitter il Dc avellinese ha spezzato una lancia a favore della “tregua istituzionale” e del “governo di salute pubblica” lanciato dal tandem Salvini-Giorgetti. “Ho apprezzato i toni, ma non si può fare – confida in seconda battuta a Formiche.net – questo governo regge”.

Rotondi, quindi le piace la tregua lanciata da Salvini e Giorgetti.

Una suggestione, poco più. Non penso che dopo questo governo ce ne saranno altri, se non dopo eventuali elezioni anticipate.

Ma la condivide o no?

Sono un moderato, e da moderato non posso che apprezzare che Salvini abbia deposto la spada.

Non crede sia solo tattica?

Certo, nessuno si fa illusioni. È il leader del primo partito italiano e sa che i dossier scottanti rimangono sul tavolo di Palazzo Chigi anche se questo governo cade.

Dunque non c’è nulla di vero.

Ma no, mi è sembrato invece un discorso responsabile. Le dichiarazioni di Giorgetti confermano quello che già pensavo sulla Lega.

Ovvero?

Non solo è attualmente il più antico partito italiano, ma è anche il più tradizionale. E l’unico attualmente in grado di suonare un genere musicale cui ci eravamo disabituati: il concerto. La Seconda Repubblica ha avuto tanti solisti.

Va a finire che a Rotondi piace la Lega…

Io sono molto critico di Salvini, non è un mistero. Ma non estendo alla Lega le perplessità. È un partito storico, ben strutturato, e non mi sorprende che sia riuscito a espandersi sul territorio nazionale.

Sarà un caso che Salvini abbia proposto una tregua mentre le Sardine invadevano Roma?

No, ha azzeccato in pieno il tempismo. Ha capito che la narrazione sardiniana, quella del colloquio contro lo scontro, può davvero vincere contro la sua. Così è sceso sul loro terreno, offrendo un ramoscello d’ulivo alla maggioranza.

Giorgia Meloni non l’ha presa bene.

A Meloni dobbiamo riconoscere una verginità assoluta in materia. Non ha mai fatto patti con il Pd o i Cinque Stelle e giustamente marca questa sua diversità.

Forza Italia che dice?

Purtroppo ha giocato tutte le sue carte sulla prossima legislatura. Per paura di non esserci ha rinunciato a fare politica in questa.

Mara Carfagna ha assicurato che non ci saranno scissioni.

Sono contento, ho mantenuto sempre uno stretto rapporto con Silvio Berlusconi. La nostra rottura è stata raccontata da chi la caldeggiava, non è mai stata all’ordine del giorno. Io sono al lavoro con Lorenzo Cesa per chiedermi se nella Terza Repubblica ci sia spazio per un partito di ispirazione democristiana.

La risposta?

Io dico di sì. Il 18 gennaio si celebrerà il centunesimo anno dalla nascita del Partito popolare italiano. Forse questa, più che la Dc, è la sigla che dovremmo recuperare, sulla scia di quanto ha fatto Mino Martinazzoli.

Anche Salvini va a caccia di moderati.

Io faccio il mio mestiere, lui il suo. Quello in comune dovrebbe essere servire il Paese.

Torniamo al governo di emergenza. Non avrebbe i voti in Parlamento.

Non è detto. Al momento non la reputo una prospettiva realistica e nemmeno la auguro, perché racconterebbe il peggioramento della struttura finanziaria del Paese, la crisi contagiosa della Banca Popolare di Bari, l’accentuazione dello scontro con la magistratura.

Eppure lei parla di governo di “salute pubblica”. Sarebbe?

Una via di mezzo fra il duello rusticano di questi ultimi mesi e un governo di tutti quanti insieme. Zaccagnini la chiamerebbe “politica del confronto”.

Fra chi?

Fra opposizioni e governo Conte sulle questioni fondamentali. Salvini ha citato l’economia e la legge elettorale. Io ci aggiungo la manutenzione dei rapporti fra esecutivo e legislativo. Ridurre il numero di parlamentari senza riformare i poteri del premier renderà zoppo qualsiasi governo.

Forse ci sono i voti per un referendum confermativo.

Ne dubito, io non ho firmato. E anche se ci fosse un referendum confermerebbe con ogni probabilità il voto del Parlamento.

Se i voti si trovano può saltare tutto?

Il contrario. Mattarella non scioglierà mai le camere prima del referendum. Il motivo è semplice: sarebbe costretto a farlo due volte in un anno. Se si tornasse al voto con un Parlamento di 1000 parlamentari e l’esito del referendum confermasse il taglio, si avrebbe la più conclamata delle delegittimazioni costituzionali del Parlamento. Il Quirinale non avrebbe altra scelta che riportare il Paese al voto.

Quindi in un caso e nell’altro il governo regge.

Il ritorno alle urne non è nell’aria. Tant’è che fioccano proposte per formare altri governi in Parlamento, chi parla di salute pubblica, chi di un patto fra Renzi e Salvini. Magari non c’è nulla di vero, ma è la prova che per gli onorevoli le elezioni anticipate non sono all’ordine del giorno.

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