Il delegato speciale cui il Dipartimento di Stato americano ha affidato il dossier nordcoreano, l’ex manager della Ford in Russia Stephen Biegun, oggi ha invitato Pyongyang a rientrare nel quadro negoziale con gli Stati Uniti. I colloqui avviati lo scorso anno — e passati per tre incontri faccia a faccia tra Donald Trump e il satrapo Kim Jong Un — da mesi procedono al rallentatore.
Situazione che ha aumentato il nervosismo del Nord e indotto il regime a riavviare test militari. Nei giorni scorsi Pyongyang ha comunicato l’intenzione di uscire dai negoziati e ha fatto sapere di aver condotto un test su un elemento “cruciale” per il proprio programma nucleare. Annuncio che ovviamente ha un valore simbolico, visto che il nodo tra i due paesi ruota attorno alla denuclearizzazione. Gli Usa la vogliono immediata e completa, la Corea del Nord non vuole perdere il livello di deterrenza raggiunto.
Se certe prese di posizione del regime, come la fermezza con il nemico e la stretta sulle ambizioni della gerarchia, servono a Kim per mantenere la presa sul potere, da qualche settimana sul dossier si sono affacciati attori esterni. Paesi interessati a sfruttare la situazione a proprio vantaggio, ovvero contro Washington: Russia e Cina.
L’ambasciatore russo a Pyongyang, Aleksander Matsegora, ha detto in televisione che Mosca e Pechino si stanno allineando per proporre una soluzione alternativa al dialogo con gli Usa. “Al prossimo Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite vogliamo proporre una nuova strategia nei confronti della Corea del Nord, che possa portare alla definitiva denuclearizzazione della penisola: un obiettivo che abbiamo in comune con gli Stati Uniti”, ha detto, aggiungendo che “la politica di Washington dà più importanza alla forza piuttosto che all’intelligenza”. Due giorni fa era la Cina a chiedere all’Onu di iniziare a eliminare le sanzioni per aiutare Pyongyang a ripartire. Forse i due paesi hanno intenzione di preparare una richiesta del genere in sede CdS.
Entrambi i paesi hanno rapporti amichevoli con la Corea del Nord, che li usa come aggancio interno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. D’altronde sia la Russia che la Cina vantano sulla Corea un doppio interesse: da una parte la considerano un’arma nel confronto con gli Stati Uniti, dall’altra sono costrette a frenare alcuni impulsi pericolosi di Kim. In questo momento, ritrovata un’apparente sintonia, Mosca e Pechino non intendono accendere i riflettori di Washington su un’area geografica dove è già in corso (non senza competizione e sfiducia reciproca) la spartizione delle rispettive sfere di influenza.
Un problema in più per Trump, che vorrebbe fare della Corea del Nord un tassello importante della sua legacy in politica estera, ma trova il suo piano ostacolato da Cina e Russia, che si propongono come attori negoziali alternativi. Così facendo danno adito alla critica che proprio in queste settimane Pyongyang ha mosso all’amministrazione americana: non è più un broker adeguato.