Stimatissimo e caro papa Francesco, nel giorno del suo 83esimo compleanno, così vicino al giorno del suo 50esimo compleanno nel sacerdozio, perché dovrebbe farle piacere ricevere gli auguri da un semplice agnostico, da un semplice secolarizzato che davanti al mistero sa soltanto che non sa? Anche questo non lo so, e mi interessa poco. Fa piacere a me avere l’occasione di augurarle, come lei disse in qualche caso rivolgendosi a suoi interlocutori che non sanno, “buona onda”. Lo voglio fare perché per noi “secolarizzati” lei ha fatto tanto: abituati a pensarci così individui da essere soli, grazie a lei abbiamo pensato a quanto sarebbe bello saperci sentire fratelli in una grande famiglia, quella dell’umanità. Il fatto che nessun leader religioso prima di lei ci avesse fatto capire così profondamente e semplicemente (la spiegazione semplice è sempre più difficile di quella complessa) l’importanza dell’armonia e non dell’esclusione, ci consente oggi di dire che esiste un’autorità morale globale la cui verità universale è molto semplice: chi tradisce i propri principi non fa i propri interessi. Questa autorità morale globale è lei.
Vede carissimo papa Francesco, non avevamo mai riferito questa semplice verità, che tradendo i propri principi non si fanno i propri interessi, a noi stessi. Il suo magistero invece ci ha obbligato a sentire le sue domande. Perché un tratto fondamentale del suo discorso sta nel come discorre: lei interroga, pone domande, non impone, se non in casi estremi. Ad esempio lei ha detto ai nostri politici “peccatori sì, corrotti no”. Molti di noi, ammalati da questo circuito casta-anticasta, abbiamo pensato ce l’avesse con i politici. Non con noi, che ci siamo corrotti nel tradimento senza pentimento dei nostri principi. È il non pentirsi la corruzione, del cuore come dell’acqua. E da quando la globalizzazione uniformante ha preso a distruggere popoli e culture, noi l’abbiamo seguita pensando che avremmo fatto i nostri interessi. E invece abbiamo fatto quelli di altri. Di chi vuole vestire Dio con la bandiera nazionale.
Così oggi penso che il frutto principale del suo magistero sia stato indurre a riflettere come sia possibile che oggi a difendere il pluralismo ci sia lei e pochi altri.
Vede carissimo papa Francesco, io mi permetto di osservare che questi nostri tempi sono assai strani, ma molti di noi secolarizzati non lo hanno capito. Sono tempi strani perché il pluralismo è diventato un disvalore per troppi. Molti oggi si definiscono cristiani e contemporaneamente dichiarano di non credere in Dio, di non partecipare ai riti cristiani. È un problema dei credenti, ma anche dei cosiddetti non credenti! Per costoro il cristianesimo sta diventando un fatto identitario. Per la paura dell’altro? Certo. Ma non basta. Bisogna andare al ristorante per capire perché. Quante persone al ristorante conversano con il loro commensale e quante invece lo fanno con il loro telefonino? L’io è diventato così sovrano da farci vivere in solitudine anche quando siamo in compagnia. E noi, che abbiamo rimproverato alla sua Chiesa di volerci imporre il modo di vivere non abbiamo capito che la sfida ormai era completamente cambiata. Quando la Bologna comunista è diventata consumista non abbiamo capito cosa era successo. E non capendo abbiamo seguitato a inseguire un’idea di libertà non vedendo la nuova frontiera. Il problema non era più il vecchio blocco di potere, ma il nuovo, che ci accettava purché consumatori.
Così noi oggi ci pensiamo liberi, ma non lo siamo. È il nostro telefonino che ci impone come vivere, ma noi non lo contestiamo. Fruitori inconsapevoli di messaggi che ci formano, ci lasciamo trasformare nei non-luoghi delle città globali in persone trasparenti. La nostra è la cittadinanza dei consumatori: “Lavoro-guadagno, pago-pretendo!”. E siamo convinti che questo voglia dire essere liberi.
C’è un libro molto importante nelle nostre librerie: si intitola “Il naufragio delle civiltà”. Altro che scontro… In questo tempo in cui noi rischiamo di essere i veri naufraghi, più dei profughi, i naufraghi di fatto ma che nessuno chiama così, lei ha trovato il modo per farci riflettere su quanto stiamo sbagliando senza accusarci, senza giudicarci, ma interrogandoci. Lei rispetta la nostra libertà, ma cerca di farci riflettere sulle nuove illiberalità. Ma il rischio nel quale ci troviamo lo ha indicato con chiarezza su La Civiltà Cattolica un suo stretto collaboratore, il nuovo Prefetto dell’Economia in Vaticano, gesuita come lei: “Gli individui frammentati, privi del riferimento oggettivo di un mondo comune condiviso con altri, sono facili da comprare e da manipolare, con l’aiuto della televisione e di altri mezzi di comunicazione. Basta farli sentire bene soggettivamente, offrire loro sensazioni di libertà, l’illusione di scegliere tra un gran numero di alternative, la possibilità di ‘essere in onda’, adeguandosi agli indici dell’opinione pubblica e partecipando agli spettacoli di massa. Non potremo esercitare la libertà se veniamo comprati e colonizzati. Non possiamo continuare a nutrirci di quello che ci uccide.” Sì, il punto forte di questo discorso è che per tornare a essere cittadini occorre tornare a esercitare la libertà, a “collegarci con altri per propositi comuni, in condizioni di uguaglianza e di pluralità”.
Stimatissimo e caro papa Francesco, la Dichiarazione sulla Fratellanza che lei ha firmato all’inizio di quest’anno è un manifesto per la salvezza del pluralismo, e quindi della libertà, nel nome dell’armonia. Una nuova dialettica che ci riguarda tutti è stata prospettata a tutti, e anche noi, gli agnostici come i non credenti, siamo chiaramente citati. In quella Dichiarazione, in assoluta ed esplicita fedeltà al Concilio Vaticano II, si dice: “ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano.”
Stimatissimo e caro papa Francesco, grazie della sua dialettica includente, della sua idea di armonia in un tempo in cui tanti sembrano avere nostalgia del burro con cui Rimbaud dice che i suoi antenati si cospargevano i capelli.