Da qualche settimana la Russia viene descritta come il puntello che sta permettendo la sopravvivenza militare di Khalifa Haftar, signore della guerra della Cirenaica impegnato nel tentativo di conquistare Tripoli. Contractor appartenenti a una società vicina al Cremlino si trovano sul terreno e stanno effettivamente dando una mano agli haftariani. La loro presenza è certa, denunciata apertamente dal governo libico e dagli Stati Uniti. L’efficacia piuttosto ovvia: si tratta di ex militari provenienti dai reparti speciali, ben armati, con in mano tecnologie avanzate che nel quadro del conflitto libico — fatto di scontri di posizione al rallenty portati avanti da miliziani improvvisati — possono essere determinanti. Secondo gli americani per esempio, un drone della Usaf da diversi milioni di dollari è stato abbattuto dalla loro contraerea (e forse la stessa sorte è toccata anche a uno italiano).
Ma questa presenza russa pare non avere copertura omogenea. Ossia, al Cremlino non tutti gli apparati la assorbono in modo uguale. Sembra molto più spinta dalla Difesa, mentre dagli ambienti della diplomazia si frena. O così pare. Oggi la feluca incaricata dalla presidenza di guidare il gruppo di contatto Russia-Libia, Lev Dengov, ha parlato apertamente contro l’offensiva di Haftar.
“Haftar ha intensificato il suo attacco armato, che non ha portato progressi. È rimasto nella stessa posizione. La linea del fronte ad oggi non cambia in modo drammatico, rimane approssimativamente la stessa”, ha detto Dengov durante un’intervista a Ria Novosti.
“Al momento il mondo intero sostiene che la guerra in Libia non sia necessaria e richiede la risoluzione attraverso il dialogo politico, quindi il rafforzamento della soluzione militare da parte di Haftar mi sembra ridicolo”, ha sottolineato. Di questa dicotomia — non nuova, vista già anni fa nel caso della Francia e proprio sulla Libia — su queste colonne aveva parlato anche Arturo Varvelli, analista dell’Ispi tra i massimi esperti di Libia in Europa.
Il direttore del Gruppo di contatto russo è passato anche sull’accordo tra Turchia e il governo di Tripoli: un’intesa profonda che riguarda la cooperazione militare e la spartizione delle zone marittime di esclusività. “Molti player non rivelano le loro vere intenzioni e i loro veri interessi, ma la Turchia ha dichiarato a tutti chi sostiene oggi”, ha aggiunto Dengov. Ankara s’è schierata nettamente contro Haftar anche per una ragione di ordine superiore che riguarda il conflitto intra-sunnismo: l’uomo forte della Cirenaica è infatti aiutato dagli Emirati e dall’Egitto, due paesi con cui turchi (e i qatarini) competono per il dominio politico del mondo islamico.
Secondo una fonte libica informata sul dossier, nell’incontro presidenziale previsto per inizio gennaio tra Recep Tayyp Erdogan e Vladimir Putin i due leader “troveranno un accordo sulla crisi”. Posizione che ricalca più quella della sfera diplomatica, lontana dalla soluzione militare pensata da Haftar e sostenuta dai contractor russi e pure dalle dichiarazioni con cui il turco annunciava la possibilità di inviare truppe per assistere Tripoli.
Va detto che questa apparente divisione intra-russa potrebbe essere un metodo con cui il Cremlino mantiene una doppia linea d’azione, funzionale a tenere contatti con entrambi gli schieramenti, in una partita in cui russi e turchi sono entrati in gioco con forza ripetendo uno schema simile a quello visto in Siria.