In una fase convulsa di inizio campagna elettorale il ricordo di Giuseppe Tatarella è quanto mai opportuno. Pinuccio è morto nove anni fa, improvvisamente. Ha lasciato un enorme vuoto ma anche tanti ricordi, aneddoti. Ai più giovani forse il suo nome non dice nulla ma per intere generazioni (non solo di destra) è un vero mito. La sua umanità, la sua passione, la sua lungimiranza hanno lasciato una traccia indelebile. Una traccia che vale la pena tentare di riprendere. Tatarella ha intuito il passaggio dal Msi ad An molto prima del ’94. Allo stesso modo, si può dire che abbia ‘fondato’ il Pd veltroniano almeno dieci anni fa. La sua idea consisteva nella sostanziale modernizzazione della politica italiana, con il superamento degli steccati ideologici del Novecento. Era stato protagonista con Massimo D’Alema della stagione della Bicamerale e proprio della sinistra lui era un fiero e leale interlocutore. Immaginava, prima che diventasse uno slogan di moda, un bipolarismo mite. Credeva in due grandi partiti di centrodestra e centrosinistra le cui identità fossero certamente innovative rispetto alla Dc e al Pci ma che ne condividessero la capacità di essere espressione larga e popolare degli elettori italiani.
Tatarella è stato definito in tanti modi, forse il più azzeccato è ‘ministro dell’Armonia’. Proprio per lo sforzo continuo teso a ricercare le condizioni di intesa sia nella sua coalizione che con i suoi avversari. Questo non lo ha reso mai morbido o transigente. Il suo obiettivo politico è sempre stato quello di ricercare la vittoria per rappresentare la maggioranza degli italiani (anche quella silenziosa) e quindi affermare il principio del ‘buongoverno’. Essendo uomo semplice ma dalla straordinaria intelligenza, capiva che da soli Forza Italia e An, così com’erano, erano insufficienti per quel traguardo. Era convinto dell’importanza del centro e del posizionamento moderato. Il suo andare ‘oltre il Polo’ era un progetto molto più profondo e serio della successiva intuizione della Casa delle Libertà. Pinuccio non pensava ad un’ammucchiata ma ad una sapiente amalgama di culture molto più affini che diverse. E non è un caso che Pinuccio lavorava sempre attraverso giornali e riviste intesi come luoghi di incontro e confronto.
Come qualunque grande leader Tatarella si interrogava sempre. Aveva vissuto la folgorante esperienza del governo nel ’94 insieme a Berlusconi ma anche delusione della rapida fine di quell’esecutivo. Era consapevole sia della forza che della fragilità del centrodestra. Presagiva che i partiti nati dalle ceneri della Prima Repubblica dovevano essere un mezzo e non un fine. Un mezzo appunto per contenitori più larghi e quindi più democratici e partecipati. Era così tanto un vulcano di idee e iniziative che possiamo soltanto provare a immaginare la sua delusione per nove anni trascorsi politicamente nel modo più sterile possibile. Il suo centrodestra era motore del cambiamento, oggi lo è della conservazione. Tirare per la giacchetta un grande che non c’è più è sempre vile e quindi è giusto frenare la fantasia. Una simulazione possiamo però tentarla. Poichè Pinuccio era uomo concreto è verosimile pensare che oggi non avrebbe idee particolarmente temerarie sul come affrontare le elezioni del 13 aprile. Avendo però lo sguardo avanti, è altrettanto verosimile immaginare che già oggi nella sua testa ci sarebbe l’appuntamento elettorale del 2009 con le elezioni europee. Quella potrebbe essere l’occasione giusta per tentare il grande passo: una lista unitaria del Ppe di cui An non potrebbe che essere un importante pilastro. Chissà, da lassù cosa pensa davvero Pinuccio. E’ bello pensare che ci guardi con il suo sorriso tenero e vivace. Solo questo può attenuare il rimpianto della sua assenza.