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Perché c’è poco da esultare per gli sconti di Huawei. L’inchiesta del Wsj

“Offre le soluzioni migliori ai prezzi migliori”. Così il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli in una recente intervista a La Stampa ha difeso Huawei, l’azienda cinese leader nella telefonia mobile, dalle accuse del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che nel rapporto conclusivo di un’indagine annuale invita il governo ad escluderla dalla implementazione della rete 5G assieme ad altre aziende cinesi legate alla Città Proibita. Sulla prima parte della difesa il giudizio resta soggettivo. Quanto alla seconda, numeri alla mano, una nuova inchiesta del Wall Street Journal pubblicata il giorno di Natale spiega perché c’è poco da esultare per i prezzi super-convenienti del colosso tech cinese.

72 miliardi di dollari. A tanto ammonta secondo il quotidiano finanziario la somma di denaro che il governo cinese ha elargito in sovvenzioni a Huawei per trasformarla da piccolo produttore di apparecchiature mobili a colosso mondiale del settore. Nell’inchiesta il giornale snocciola uno ad uno gli aiuti di Stato di cui ha beneficiato l’azienda fondata dall’ex ufficiale dell’Esercito di liberazione popolare Ren Zhengfei. Di 76 miliardi ricevuti, 46 deriverebbero da prestiti, linee di credito e altri finanziamenti da parte di prestatori di Stato. Altri 25 miliardi sarebbero ascrivibili, scrive il Wsj, alle esenzioni fiscali concesse dal governo cinese alle aziende tech. L’ultima tranche si divide infine così: 2 miliardi di sconti da parte delle autorità cinesi per acquistare terreni dove costruire i centri di produzione e un altro miliardo e mezzo in sovvenzioni statali.

Il maxi-aiuto ricevuto dal governo cinese spiegherebbe in parte il vantaggio di mercato che Huawei vanta sui suoi competitors. Incluse la finlandese Nokia e la svedese Ericsson, che concorrono con l’azienda di Shenzen nel mercato globale per il 5G. La strategia del “best price” ha infatti permesso negli anni a Huawei di conquistare enormi fette di mercato nella telefonia mobile e delle telecomunicazioni, tanto in Asia quanto in America ed Europa. È il caso degli Stati Uniti, dove in gran parte delle aree rurali sono tutt’oggi presenti impianti Huawei per la rete perché ritenuti più convenienti della concorrenza americana ed europea.

Lo stesso discorso si applica per i cellulari, settore in cui Huawei è secondo al mondo solo alla coreana Samsung. In Italia, ad esempio, Consip, la centrale per gli acquisti della Pubblica amministrazione che da sempre ha come mission il risparmio sugli acquisti, lo scorso maggio ha acquistato per i funzionari ed ufficiali del ministero della Difesa una partita di cellulari Huawei. Un intervento dei vertici di Palazzo Baracchini ha poi sostituito i cellulari in dotazione sulla base delle accuse di spionaggio industriale rivolte alla compagnia cinese dai vertici dei Servizi, non solo italiani. La gara Consip era stata vinta da Huawei, come in molti altri casi precedenti, anche grazie ai prezzi imbattibili dei prodotti.

Il Wall Street Journal spiega in cifre le ragioni di questa imbattibilità. Solo nel quinquennio che va dal 2013 al 2018, si legge nell’inchiesta, i dati ufficiali dell’azienda dimostrano che i sussidi statali ricevuti da Huawei erano “17 volte più grandi di quelli riportati nello stesso periodo da Nokia” mentre la svedese Ericsson “in quel periodo non ne ha riportato nessuno”.

Huawei può contare, scrive il quotidiano, sull’aperto supporto del sistema bancario cinese, specialmente delle banche pubbliche, che negli anni hanno garantito al colosso tech “una delle più grandi strutture di prestito della storia”. Due gli istituti protagonisti dell’ascesa: la China Development Bank e la Export-Import Bank of China. Secondo i dati della Banca Mondiale durante il primo decennio di espansione all’estero di Huawei queste due banche avrebbero aperto linee di credito da 30 miliardi di dollari a un tasso di rendimento del 3%, “circa la metà del tasso di riferimento quinquennale in Cina dal 2004”.

Anche i competitor dell’azienda cinese hanno ricevuto sussidi e agevolazioni dai rispettivi governi, ma il paragone non regge all’esame dei numeri. Al 2018 le autorità svedesi preposte all’export, ad esempio, hanno elargito 10 miliardi di dollari in assistenza creditizia per l’intero settore tech. E il principale avversario di mercato di Huawei negli Stati Uniti, Cisco, dal 2000 ha ricevuto 44,5 miliardi di dollari dal governo sotto forma di sussidi, prestiti, sovvenzioni, secondo le stime di Good Jobs First.

Per dimostrare che Huawei non è, come invece sostengono i vertici, “un’azienda come molte altre in Cina”, il quotidiano di Washington cita un caso eloquente. Nel 2009 Huawei ha venduto al governo del Pakistan un sistema di sorveglianza per la capitale Islamabad. Non avendo il comune a disposizione l’intera cifra, 124 milioni di dollari, la China Ex-Import Bank si fece avanti con una soluzione. Elargire la somma richiesta a Islamabad con un prestito ventennale a un tasso di interesse del 3%, a un’unica condizione: da quel momento il Pakistan avrebbe potuto scegliere solo e unicamente Huawei per impiantare i suoi sistemi di sicurezza.

Huawei ha prontamente rispedito al mittente le accuse del Wall Street Journal. In un duro comunicato diramato giovedì, l’azienda sostiene che l’articolo sia costruito su “informazioni false” e un “ragionamento misero”. Di seguito, una consumata difesa d’ufficio: “Huawei è una compagnia privata ed è completamente posseduta dai suoi impiegati”.

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