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Attentato a Mogadiscio. La lotta fra terroristi in Somalia spiegata dal generale Arpino

Vogliono primeggiare, per flettere i muscoli e dare una dimostrazione di forza, dice a Formiche.net il generale Mario Arpino a proposito di quei gruppi dietro l’attentato che a Mogadiscio ha fatto decine di morti. Secondo l’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa in Africa si sta distendendo una strategia che vede in primo piano l’attivismo di Cina e Russia accanto al disimpegno Usa, con il governo di Ankara che, anche in quel quadrante, vuole dire la sua.

Attentato a Mogadiscio: quanto sta influendo il crescente problema jihadista in Africa?

La Somalia è un problema complesso, che si sta estendendo anche in Kenya e nei Paesi vicini. Il governo attuale dopo aver distrutto le corti islamiche, ma non del tutto, ha istituito la pena di morte per reati di jihadismo con una conseguente fuga generale: in primis da parte dei tartassati delle corti islamiche, riuniti in accampamenti di 300mila persone, che non sono composti da jihadisti ma da profughi somali. Spesso vengono definiti dai media come affiliati di Al Qaida ma non è esatto: c’è quindi una lotta tra governativi ed estremisti, con questi ultimi che sono in sostanza dei fratelli coltelli e si contendono i profughi.

Quei profughi sono serbatoi di disagio che può estremizzarsi?

Sono serbatoi di provenienza kenyota per gli attentati dei terroristi da realizzare in Somalia e per attività di proselitismo da effettuare in Kenya, nonostante lì la popolazione islamica ammonti solo al 7%. La situazione quindi è molto articolata e teoricamente a capo di tutto dovrebbe esserci Ayman Al Zawahiri, vice di Bin Laden, ma non è del tutto certo. Gli autori dei numerosi attentati sono gruppi che vogliono primeggiare, per flettere i muscoli e dare una dimostrazione di forza.

Perché una lotta tra fratelli coltelli?

Al-Shabaab è divisa in due, tra Al Qaida e Isis: quest’ultima ha l’ambizione territoriale di formare la Umma, come piccole porzioni attorno al mondo che, nelle intenzioni, un giorno dovranno essere riunite. Al Qaida si accontenta invece di fare attentati e istituire localmente la sharia. L’eclatanza degli attentati dipende anche dal confronto tra questi singoli gruppi, in cui più si uccide e più si ha prestigio.

La Somalia è considerata uno Stato fallito ed è lontana dall’unità con Al-Shabaab che controlla gran parte del sud del Paese. Quale l’azione di Africom in loco?

È abbastanza limitata: è un gesto di buona volontà che non so fino a quanto durerà, soprattutto in questi ultimi tempi in cui si scorge la fase di introversione da parte di Donald Trump e degli Usa, forse dettata da alcuni accordi con Cina e Russia. Ma non è questo un passaggio molto chiaro. Non va dimenticato che un altro nemico di Al-Shabaab sono i pirati, oggetto di ricatto.

È vero che a fronte della volontà del Pentagono di disimpegnarsi da quel quadrante, la volontà di Pompeo è invece quella di intensificare la presa Usa così come osservato dal New York Times?

È senza dubbio un giornale molto letto ma non sempre rispecchia le opinioni degli americani e quasi mai quelle del governo in carica. Le intenzioni del ritiro ci sono e sono state dichiarate: stiamo andando sempre più verso un mondo bipolare con Usa e Cina, come dimostra anche il dossier spaziale. E l’Africa sta diventando sempre più ad appannaggio dei cinesi, da un certo parallelo in poi, in tandem con i russi nella parte centrosettentrionale. Gli Usa si stanno chiamando fuori, così come hanno fatto dal Medio Oriente dove non è riuscito il piano della Clinton di diventare un pivot.

La Turchia è stata uno dei principali sostenitori della Somalia e assieme al governo del Qatar sta finanziando una serie di infrastrutture e progetti medici nel Paese. A cosa punta Erdogan?

Cerca ovviamente di tornare a fare quello che faceva l’impero ottomano a suo tempo: dominare direttamente o avere influenze determinanti sul mondo musulmano. In ogni area musulmana vedremo sempre allungarsi lo zampino di Erdogan. Prima sui suoi ex possedimenti, poi sulla Somalia. In questo ultimo anno il più attento osservatore dei fatti somali è proprio l’intero sistema erdoganiano: la presenza è forte e radicata, anche se oggi è più incentrata su Siria e Libia. La Cina lavora da un certo parallelo in giù, poco oltre la fascia sub sahariana, mentre la Turchia a nord. Il problema però verte la longitudine, ovvero la suddivisione con Egitto e Russia. Anche qui fratelli coltelli, ma penso che troveranno un accordo. Purtroppo noi siamo spettatori inerti e non saremo vincenti: loro lavorano con le armi, noi con i principi universali.

twitter@FDepalo

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