Mosca e Kiev compiono un altro passo importante verso la distensione dei rapporti. Le autorità ucraine e i separatisti filorussi del Donbass hanno scambiato 200 prigionieri. Si tratta di un evento molto importante, perché testimonia che gli accordi raggiunti a inizio dicembre a Parigi iniziano a dare i loro risultati.
A dare la notizia è stato il presidente ucraino, Volodimir Zelenskij, in persona. In particolare, a Kiev sono stati restituiti 76 prigionieri, mentre le autoproclamate repubbliche Donetsk e Lugansk si sono riprese rispettivamente 61 e 63 persone.
A settembre c’era stato un primo scambio di 70 prigionieri, che aveva aperto la strada all’incontro di Parigi. Il presidente Zelenskij è determinato a chiudere il conflitto con il Donbass filorusso che è iniziato nell’aprile del 2014 e ha provocato 13mila morti. Ma per arrivare a questo obiettivo deve necessariamente scendere a patti con Mosca, che, dopo l’annessione della Crimea, adesso punta all’assorbimento anche del Donbass.
La strada, però, è ben lungi dall’essere in discesa. Nonostante la Germania di Angela Merkel e la Francia di Emmanuel Macron ce la stiano mettendo tutta per fare raggiungere alle due parti un compromesso, ci sono alcuni nodi sui quali Zelenskij e il presidente russo, Vladimir Putin, non sono riusciti ad accordarsi.
Il primo nodo a cui si è già fatto riferimento è la stabilizzazione del Donbass, che, oltre alla portata dal punto di vista simbolico, libererebbe anche Mosca da un peso economico, ossia il sostegno ai separatisti filorussi, che grava sempre di più sulle casse dello Stato. Il problema è che Zelenskij potrebbe pagare la fine del conflitto con una perdita di consensi consistente. E su questo, come sul gas, Putin è stato chiaro. È la Russia che tratta e sul Donbass la Russia ha deciso che gli accordi di Minsk non si toccano.
Il secondo nodo è una ricomposizione dei rapporti fra Mosca e Kiev sul lungo termine. E su questo influiranno altri fattori, come i rapporti fra la Russia e la Nato e la Russia e la Ue. Un allentamento della tensione su Mosca, porterebbe il Cremlino a vedere meno l’Ucraina come “agente provocatore” dell’Occidente, con una successiva distensione nella regione.