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Come un sughero che galleggia

Tangentopoli è maggiorenne: compie diciotto anni. Un lasso di tempo non banale, eppure ancora troppo breve nell’opinione di molti dei protagonisti dell’epoca. In realtà, quell’anno – il 1992 – fu cruciale e segnò la fine di un’epoca, quella che oggi ricordiamo come la “Prima repubblica”. Lo scioglimento dell’Unione Sovietica, i maxi processi ai mafiosi e la loro cruenta risposta con le stragi di Falcone e Borsellino, la firma del trattato di Maastricht, l’arresto di Mario Chiesa e l’avviso di garanzia a Bettino Craxi, l’esplosione del debito pubblico italiano, la svalutazione della lira, il prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani, l’elezione di Scalfaro al Quirinale, l’avvio delle privatizzazioni: tutto questo e molto altro ancora in trecentosessantacinque giorni che vale la pena di ricordare. Senza cedere alle tentazioni dietrologiche o complottiste ma neppure alla semplificatoria e superficiale lettura che sin qui è stata data. All’Italia servirebbe uno sforzo di memoria, per capire cosa è stato quell’anno, ciò che eravamo fino ad allora e ciò che siamo stati dopo. Lì, in quei mesi, furono archiviati i partiti che avevano governato dal Dopoguerra e messo al bando il modello economico socialista dell’impresa di Stato. Il dubbio, di allora e di oggi, è che insieme alla (tantissima) acqua sporca fu buttato via anche il bambino. Ricordare, discuterne è un atto dovuto e lo è ancor di più per coloro che nel 1992 sono nati e che oggi, acquisendo il diritto di voto, diventano a pieno titolo “cittadini”.
Comprendere il proprio passato recente – è persino banale doverlo sottolineare – è una premessa per poter meglio orientarsi nel presente e indirizzare le scelte per il futuro. La storia del nostro Paese è certamente costellata da tanti, piccoli e grandi, buchi neri. Le opacità e le amnesie, così come le tragedie che pure ci sono state, non hanno impedito all’Italia di andare avanti, di non affondare nonostante tutto. È una buona consolazione, ma non può bastare. Il rischio è che oggi il clamore di maxi inchieste corredate da ordinanze di oltre ventimila pagine distragga l’opinione pubblica e chi ha responsabilità di governo. Quando il gossip sostituisce la giustizia e quando i sospetti soppiantano le prove, vuol dire che il sistema è bello che in crisi. Se questo poi avviene nel momento in cui esplodono i debiti pubblici nazionali e l’aumento della disoccupazione diventa una minaccia sociale tangibile, allora preoccuparsi rischia di non essere più neppure sufficiente. La crisi, che sia economica o “morale”, va affrontata e risolta politicamente, con la forza della consapevolezza. Bisognerebbe poter guardare al di là della cappa di fumo che ci avvolge e le lenti della storia, anche recente, sono sempre un buon aiuto. Diversamente, andrà come va da troppo tempo. Continueremo a galleggiare come un sughero. Sperando che un’onda troppo alta non ci spazzi via.


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