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Condividere responsabilità, generare solidarietà

Nessuna persona sana di mente oggi vorrebbe vestire i panni di un governante europeo. Il livello di criticità è tale che scorgere soluzioni credibili appare davvero arduo. Lamentarsi è facile, e infatti lo facciamo tutti benissimo. Prendere le decisioni giuste è ben più difficile, e infatti in pochi ci riescono. Tuttavia non possiamo né limitarci al piagnisteo né accontentarci di questo incerto galleggiamento politico. D’altra parte occorre essere consapevoli dello squilibrio fra i tempi necessariamente lenti dei decisori pubblici (statali e sovranazionali) e quelli immediati dei decisori finanziari. Il varo di una manovra o la deliberazione di misure europee richiede un processo articolato e sofferto: è il bello della democrazia. Lo short selling di azioni o titoli di Stato avviene con un click e ben pochi scrupoli: è il bello del mercato. È chiaro che la partita che deve giocare chi ha la responsabilità di guidare un Paese è asimmetrica e vincere è quindi ancora più difficile.
La democrazia, in questo senso, può apparire un limite e per certi versi, in effetti, lo è. Però è anche una grande forza. Si tratta di farla emergere e usarla positivamente. I governi sono deboli se sono autoreferenziali ma sono invincibili se hanno alle loro spalle i propri popoli. Ecco perché serve il primato della politica. Perché è la politica il tratto che unisce gli elettori con gli eletti. Questi ultimi oggi hanno bisogno del popolo non come richiamo utile a vincere nelle urne, ma come arma di governo. È evidente che questo richiede un grande sforzo di comunicazione, e di umiltà, da parte dei partiti e dei leader. Il coinvolgimento dei cittadini ai processi decisionali presuppone, inevitabilmente, una cessione di sovranità. Però, la convinzione è forte, ne vale la pena.
Questo approccio aiuterebbe chi è al governo nel comprendere che non esiste solo un astratto (ma incombente) mercato finanziario di cui tenere conto. C’è anche il mercato in carne e ossa di chi fa impresa e di chi lavora. Bene i parametri di Maastricht, è opportuno aggiustare i disastrosi conti pubblici, ma guai a sottovalutare l’impatto delle chiusure di innumerevoli fabbriche e aziende. In Italia, Pomigliano potrebbe essere (speriamo di no!) il detonatore di una bomba sociale. Indipendentemente però da questo caso, ce ne sono troppi sparsi nella Penisola che indicano un’emergenza occupazionale crescente. Che fare quindi, nel merito? Se quanto detto sin qui non è retorica, proviamo ad azzardare un piccolo ma rappresentativo piano di misure da intraprendere nel nostro Paese: da un lato patrimoniale, aumento dell’Iva per i beni “superflui” o di lusso, dall’altro credito d’imposta per i nuovi assunti ed investimenti in ricerca e sviluppo (senza fondi a pioggia e indiscriminati, ovviamente). Sono esempi di un approccio che vorrebbe essere integrato fra la necessità di rigore e quella del rilancio dell’economia e del lavoro. Forse, quasi sicuramente, sono una sciocchezza, ma sono la riprova che serve la politica e non solo la calcolatrice. Serve il plurale e non il singolare.


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