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Caos Libia? L’Italia resti al fianco degli Usa. I consigli di Carlo Pelanda

Secondo fonti libiche, forse già domani il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, incontrerà il premier libico Fayez Serraj in un un vertice arrangiato a Bruxelles insieme all’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Josep Borrell – parteciperanno anche Germania e Regno Unito, non è definita la presenza francese. Il meeting era previsto per oggi, ma è saltato. Doveva arrivare nel giorno in cui l’Ue avrebbe dovuto essere in Libia per mettere piede nel Paese e avviare un percorso diplomatico. Anche “la missione”, come la chiamano le cancellerie europee, è saltata però. Posticipata su richiesta del governo di Tripoli. Motivo: incomprensioni e scarsa sicurezza. Lo scambio di appuntamento e luogo, domani e Bruxelles, sarebbe un modo per non perdere contatto.

La crisi in Libia è aperta e profonda, e la guerra che il capo miliziano dell’Est, Khalifa Haftar, ha iniziato nove mesi fa per rovesciare il governo internazionalmente riconosciuto (Gna), conquistare la capitale, e intestarsi il paese come nuovo rais, sta vivendo la fase più dura. I combattimenti si sono intensificati, grazie anche al rafforzamento delle posizioni che alcuni player esterni giocano sui due fronti – su tutti, la Turchia pro-Gna ha annunciato l’intenzione di inviare truppe sul campo, e l’Egitto e gli Emirati stanno aumentando l’aiuto a Haftar.

Secondo Di Maio, è l’Europa che deve avere il ruolo centrale, ma al netto della volontà che Roma sta esprimendo in sede Ue, cosa dovrebbe fare il governo italiano per tornare centrale e “recuperare il terreno perso” – come ha ammesso lo stesso Di Maio dopo il suo recente tour libico? “C’è una linea che a me pare molto semplice da seguire: lo scambio, perché la politica estera è fatta di scambi e di interessi”. Alla domanda risponde Carlo Pelanda, politologo, economista, professore di Geopolitica economica all’Università degli Studi Guglielmo Marconi.

“In una situazione come questa, un governo razionale dovrebbe capire subito come rendersi importante, e per farlo c’è un modo: aumentare le connessioni con gli Stati Uniti. Per convergere ancora di più con Washington – prosegue Pelanda – l’Italia potrebbe giocarsi la carta dello scenario iracheno, dove si muovono le dinamiche della questione iraniana a cui gli Usa tengono (perché è un modo per dimostrare che sanno ancora esercitare la forza)”.

Secondo Pelanda, se l’Italia si connette maggiormente agli Stati Uniti potrebbe aumentare la propria importanza e “chiedere uno scambio”, ossia chiedere agli Usa il cruciale sostegno sul dossier libico, “dove Roma ha due generi di interessi: primo il presidio dell’Eni, secondo la protezione delle coste dal rischio immigrazione. Qualsiasi governo ci permetta questo è il nostro alleato”.

Domani sarà un giorno importante per l’evolversi della crisi libica perché il turco Recep Tayyp Erdogan e il russo Vladimir Putin si incontreranno a Istanbul. Russia e Turchia teoricamente sono su due campi distinti, perché alcuni contractor russi hanno sostenuto la milizia haftariana ottenendo un ritorno politico di primo livello, sebbene già nei giorni scorsi – quando Ankara ha annunciato l’invio di uomini a sostegno del Gna – pare che si siano allontanati dal fronte.

Putin potrebbe avere “non più che il ruolo di mediatore”, commenta Pelanda, “vuol passare da honest broker davanti a quegli interessi che si configurano con chiarezza dietro alla Cirenaica” – il professore intende le mire dell’Egitto, che ha connessioni profonde in Cirenaica, e gli interessamenti riguardo al mondo petrolifero dell’Arabia Saudita, che si muove sul lato di Haftar con la sponda degli Emirati e che da sempre guarda alla Libia concentrata sulle potenziali oscillazioni che il mercato del greggio può subire dal petrolio nordafricano.

Erdogan e Putin potrebbero decidere una sorta di spartizione, con la Turchia che a quel punto si sarebbe inserita nella crisi con “una specie di dichiarazione di guerra all’Ue”, spiega Pelanda – che però fa notare che sarebbe comunque complicato nel lungo periodo, perché difficilmente Cairo e Riad, pur ottenendo la Cirenaica, “accetterebbero la presenza turca, e dunque della Fratellanza musulmana” in Tripolitania.

Per l’Italia qual è la dimensione di lungo raggio, invece? “L’intervento turco permette a Roma di cambiare scenari salvando la faccia. Per esempio, se invece di godere dell’enorme difficoltà in cui si trova la Francia in questo momento riuscissimo, con una mossa cavouriana, ad aiutare il nemico, allora potremmo strutturare un futuro conveniente insieme a Parigi, magari offrendo (e ottenendo) qualcosa nel Sahel. Anche perché avremmo spazio, visto che la Germania di tutto ha intenzione meno che impegnarsi nel Fronte Sud (e tra l’altro Berlino ha grossi contatti con la Turchia e pure relazioni molto più forti delle nostre con l’Iran, dunque non ha mezzi di scambio validi)”.

 


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