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Il misterioso caso del Libano che si scorda di pagare l’Onu

C’era una volta la Svizzera del Medio Oriente. Il Libano infatti molti lo chiamavano così. Ma solo gli ingenui hanno pensato che fosse dovuto ai suoi monti innevati e alle sue valli. I più hanno usato questa espressione per la forza, e l’opacità, del suo sistema bancario. Altri perché sognavano di cantonalizzarlo, come la Svizzera: cantone maronita, cantone sciita, e così via.

Oggi se ne potrebbe parlare come del Lesotho del Medio Oriente. Ancora una volta l’espressione potrebbe trarre in inganno solo gli ingenui, inducendoli a pensare che sia dovuta a una possibile somiglianza tra il Monte Libano e le catene montuose del Drakensberg e del Maloti. No, in questo caso il paragone deriva dal fatto che Libano e Lesotho sono i due paesi che iniziano con la lettera elle che si ritrovano senza diritto di voto all’Onu per non aver pagato per due anni consecutivi le quote dovute. 50mila dollari portano il Libano a perdere il suo voto al Palazzo di vetro.

Leggendo si potrebbe collegare questo gravissimo sviluppo, che pone il Paese dei Cedri in compagnia oltre che del Lesotho di Repubblica Centrafricana, Isole Tonga, dello Yemen, del Venezuela e Gambia alla crisi economica che ha condotto il Libano sull’orlo del default, con bancomat i che ormai funzionano a singhiozzo e file interminabili agli sportelli bancari, mentre ogni giorno aumentano le cessazioni di attività. Eppure questo mancato pagamento di quote sembra essere dovuto più facilmente alla faraonica trasferita newyorkese del presidente della Repubblica, Michel Aoun.

Voleva intervenire all’assemblea generale settembrina l’ex generale, il maronita che in età avanzata sembra aver scoperto con la presidenza anche il fascino della resistenza e di Hezbollah. Quella trasferta coinvolse uno stuolo di esperti tale da essere costata, secondo molti giornali, 300mila dollari. E siccome la poltrona di ministro degli Esteri è ancora occupata da suo genero e segretario del partito da lui fondato, Gebran Bassil, merita di essere citata la replica della diplomazia libanese.

Nell’esprimere dispiacere le autorità libanesi assicurano di aver compiuto ogni loro dovere entro i termini stabiliti. Ritengo la questione lesiva della propria reputazione internazionale aggiunge però di auspicare che “la questione possa essere rapidamente affrontata visto può essere rettificata”.

L’impressione è quella di una fotografia della difficoltà in cui questa gestione sta facendo sprofondare il Paese.
Il presidente Aoun, che guida un Paese quasi di frontiera nella delicatissima vicenda che oppone Stati Uniti e Iran, il 3 gennaio scorso è stato tra i primi a scrivere al presidente iraniano Hasan Rowhani, affermando che “il Libano condanna il crimine che ha condotto alla morte del generale Soleimani e dei suoi compagni…” Vista così, se la questione del voto si risolvesse davvero, una pausa di sospensione al Libano potrebbe tornare utile, nell’attesa che il nuovo premier incaricato riesca a formare il suo attesissimo esecutivo tra veti e divieti che lo bloccano ormai da settimane.



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