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L’origine cristiana della democrazia

I migliori intellettuali cattolici, tra i quali Aldo Moro, Giorgio La Pira, Amintore Fanfani e Pasquale Saraceno, si ritrovarono a Camaldoli per discutere il futuro dell´Italia.
La “linea” era stata data dalle conclusioni del settimo Convegno del Movimento laureati dell’Azione cattolica, nonché dalle posizioni sulla questione sociale del cardinal Mercier. La dottrina sociale ecclesiastica è un punto di riferimento per la Costituzione programmata in futuro, e soprattutto per la stessa società italiana, alla quale la dottrina ecclesiastica guarda sempre con attenzione primaria.
Tre sono i principi della sociologia politica della Chiesa cattolica in questo frangente: la legge di natura, che è argine al “mito dello Stato” e alla imprevedibile transazione tra le classi politiche; i diritti delle comunità locali, che sono originari e anch’essi argine contro lo strapotere della “Nazione” e dei suoi miti spesso anticristiani; e il principio di sussidiarietà, che emerge chiaro fin dalla Rerum novarum di Leone XIII del 15 maggio 1891.
 
Per il cattolicesimo sociale, lo Stato non è fine ma mezzo per il benessere dei cittadini, ed ogni prevaricazione dello Stato, magari assoluto, diviene, se non giustificata da motivi evidenti e gravi, un peccato contro i diritti naturali dei cittadini, che sono garantiti in quanto figli di Dio, non come utenti di una concessione politica al voto attivo. Civitas propter civem, non cives propter civitatem: società per la persona, non la persona per la società, come affermava Pio XII. E questa lettura è ben diversa dalla cultura controrivoluzionaria della reazione cattolica, da De Maistre in poi, ma priva di qualsiasi sudditanza nei confronti del liberalismo laico e massonico, che legge la tensione solo tra individuo libero e Stato, e non ha una teorica per costruire e definire i corpi intermedi, che sono sempre esistiti e sempre esisteranno.
 
La mancanza, da parte del liberalismo, di una teoria delle organizzazioni che stanno tra l’assoluto laico dello Stato e il cittadino atomizzato sarà, da Camaldoli in poi, e nel resto dell’Europa liberata e atlantica, il segno della sconfitta definitiva dei vecchi ceti politici liberali, lontani dalle masse, ma anche dalla nuova borghesia che sorge, appunto, dai “corpi intermedi”. I criteri sono chiari, nella Rerum novarum: “L’uomo è anteriore allo Stato”, “La famiglia ha diritti eguali nel suo ambito”, e ci riferiamo allo Stato, e il bene comune, che la umana debolezza rende impossibile perseguire da soli ma nella più vasta comunità, e persegue l’“armoniosa unità tra le infime e le alte classi”. La Quadragesimo anno, promulgata da Pio XI nel maggio 1931 e che riguarda “la restaurazione dell’ordine sociale secondo il Vangelo”, si incentra sulla tutela degli Enti locali, da non snaturare in un nazionalismo retorico, e chiede che lo Stato rimetta, quando è possibile, ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli “affari di minor momento”.
 
Fino ad ora abbiamo delineato l’universo dottrinale nel quale opereranno i democristiani di Camaldoli, nel 1943. Sul piano strettamente filosofico, che non è certo estraneo alla formazione dei dirigenti cattolici che si riuniscono nell’eremo toscano per chiudere la fase fascista del nazionalismo italiano, che ha sintetizzato laicismo (il mito di Mazzini) rivoluzione sociale (Garibaldi e il socialismo paternalista del Fascio) e cattolicesimo sottomesso al regime di Mussolini, la questione centrale è la persona, il centro della analisi teoretica di Jacques Maritain.
In questo contesto, tanto per enucleare la grand strategy della Chiesa cattolica, i regimi politici dell’età moderna vengono letti come progressive scissioni di quello che anche
un grande giurista cattolico tedesco, Carl Schmitt, aveva definito come jus publicum
europaeum. Dal Rinascimento in poi, da quella fase che, in termini machiavelliani, possiamo definire come il momento dei “principati novi” che paiono antiqui, si ha per i filosofi cattolici più attenti una frantumazione dell’Europa cristiana che ha, come fine, e proprio per difendere principati novi e spesso illegittimi gli uni contro gli altri, un equilibrio precario tra avversi totalitarismi.
La Chiesa ha letto attentamente la fase nella quale, per difendersi dal bolscevismo, parti del ceto medio, della borghesia e dello stesso popolo hanno dato vita ad un socialismo nazionale uguale e quindi contrario a quello, retoricamente internazionalista, per mascherare la sua pulsione egemonica globale, del leninismo sovietico.
 
Si pensi, in questo caso, alla difficilissima convivenza tra la Chiesa e il regime di Vichy, o tra il cattolicesimo e il sistema, perfettamente ateo e positivista, del nazionalsocialismo tedesco, o al rapporto, tutt’altro che facile e ovvio, tra la Chiesa e il regime franchista, tra chiusure nazionaliste e tensioni verso un’alleanza con l’Asse Roma-Berlino-Tokyo. La crisi del mondo moderno, che una figura come Renè Guènon legge nella “perdita della linea tradizionale” e della capacità di ricostruire una linea unitaria tra le varie tradizioni originarie, da parte di custodi come la Chiesa o la stessa massoneria, per i filosofi e i giuristi cattolici che si ritrovano a Camaldoli nel 1943 ha un’altra origine, più concreta e verificabile: la rottura, attraverso i nazionalismi, e le “religioni laiche” dello Stato, e quindi le massonerie e le loro ideologie all’interno delle costituzioni moderne, dell’unità politica e quindi religiosa e culturale dell’Europa. Tanto è illecito e artificiale, e quindi, direbbe Machiavelli, debole e falso, “principato novo” e quindi necessariamente violento e instabile, il fondamento dei nuovi Stati originatisi dalla crisi dello jus publicum europaeum, tanto più essi divengono totalitari, irrispettosi dei corpi intermedi, costruttori di discordie e proni alla definizione di “ideologie nazionali” che non hanno fondamento alcuno nella storia e sono, soprattutto, mirate contro la Chiesa e i suoi valori. Proprio per questo i “principati novi” che sorgono dalla rivolta anticristiana che si innesca dal Rinascimento in poi creano identità artificiali per differenziare surrettiziamente gli uomini: proletariato vs. borghesia, ariani vs. ebrei, bianchi vs. negri, poveri vs. ricchi. Camaldoli pensa, nella temperie ideologica della evidente fine del fascismo, di operare in Italia, nella futura Costituente, per ricostruire la crisi dello jus publicum europeo dopo la evidente e distruttiva fine dello Stato laico che non solo separa, ma oppone Cesare e Dio.
Nel Codice di Camaldoli, in particolare, avranno posto istanze nettamente redistributive, che sono in capo allo Stato e soprattutto ai corpi intermedi, per evitare che il capitalismo, che pure è teologicamente un aspetto della libera espressione della persona, non divenga un idolo sociale, o si trasformi da mezzo a fine.
Fu proprio la tematica del lavoro e della sua remunerazione, asse peraltro del regime fascista ormai in fase di liquefazione, ad essere al centro del dibattito tra gli “amici di Camaldoli”. La prima questione fu quella dell’abbandono dell’assetto corporativo della società italiana fino a quel momento.
 
La settima parte del documento, dopo le varie questioni del lavoro e della giustizia sociale, riguardava la politica internazionale, con l’esplicitazione del rifiuto della forza per la risoluzione delle controversie globali.
Occorre leggere questa idea nel contesto dello jus publicum europaeum da ricostruire. Se la Guerra fredda delimitava un confine artificiale tra Stati europei, come gli amici di Camaldoli ben sapevano, e questo confine poneva Stati e soprattutto popoli cristiani in zone diverse e opposte tra loro, il dovere della nuova politica cattolica, italiana e non solo, era quello di destrutturare e differenziare questo scenario, senza tradire l’occidente, base della difesa europea (e cristiana) dall’orso russo, ma senza aderire ad una crociata laicista che avrebbe portato ad un clash finale tra est e ovest, lasciando l’Europa come Morgenthau voleva che rimanesse la Germania dopo il nazismo: “Un terreno per pascoli e agricoltura familiare”. L’Europa, appunto, sede della Chiesa e universo dei ceti intermedi, contro il capitalismo polarizzante dei monopoli Usa e il contrario, ma similare, appiattimento dell’uomo nella massa sovietica. Europa come centro dello jus publicum, come asse della regolamentazione e della efficacia dei corpi intermedi e della loro capacità di sostituire lo Stato nelle piccole e quotidiane incombenze del governo dei popoli, insieme ai popoli e ai loro legittimi rappresentanti locali e professionali. Non si confonda, quindi, la dottrina di Camaldoli con un corporativismo rinnovato.
I cattolici che si ritrovano nell’eremo toscano non vogliono uno “Stato dei ceti”, anticristiano in quanto rinnega l’eguaglianza naturale e originaria, nucleo della salvezza, tra gli uomini, ma uno Stato liberale che superi l’egoismo dei possidenti e si rinnovi in una comunità più ampia, quella che dal Rinascimento in poi è stata “ruinata”, per dirla con Machiavelli, quella dell’Europa cristiana.
La frattura che, dopo Camaldoli, si rivela tra i migliori intellettuali cattolici è quella, non a caso, del ruolo dell’Italia nei nuovi scenari globali. Dossetti, Giorgio La Pira ed altri intendono il rapporto tra Usa e Italia repubblicana come una relazione, per certi aspetti, “pericolosa”.
Washington è, malgrado l’ottimo rapporto di Myron Taylor con Papa Pio XII, una potenza globale laica e protestante, e le dottrine Nato nella loro prima fase sono quelle della percezione di uno scontro finale tra i due sistema geopolitici e economici, mentre il Codice di Camaldoli legge i rapporti internazionali come “sviluppo delle forze sociali” che travalicano gli Stati e li anticipano.
 
Una “comunità internazionale delle forze sociali” che, oggi, nella temperie della progressiva liberazione del Maghreb e, in futuro, di quel mondo arabo al quale la Chiesa non ha mai guardato come ad un nemico mortale, malgrado i tanti sacerdoti trucidati dal jihad fondamentalista, acquisisce un sapore profetico. Fra l’altro, certo sulla base dell’influenza di quello straordinario psicologo e medico che fu padre Gemelli, il fondatore dell’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano, ogni aspetto della carta camaldolese, ed è qui un ulteriore elemento di attualità, tratta dell’uomo e della sua naturale vita in società (siamo molto lontani dalle fantasie contrattualiste di Hobbes, per esempio, che per Carl Schmitt era, secondo una sua lettera a Ernst Juenger, un vero e proprio “mago nero”) come di una funzione complessa, psicologica, economica, affettiva e familiare, politica, culturale e religiosa, in cui niente può essere messo da parte. L’uomo è una sorgente di infinite complessità e il pensiero sociale cattolico, con straordinaria modernità, le legge tutte, senza ridurre il civis a parte eguale di un contratto, a percettore di un reddito, a proletario o a “padrone”, a manutengolo di questa o altra ideologia. La società, in questo contesto, è, secondo il testo camaldolese, l’“insieme o complesso di tutte le libere iniziative degli uomini”, preesiste allo Stato (come è peraltro verificato da tutti gli antropologi culturali) ed ha come finalità non il benessere o la permanenza in vita del Moloch statuale, che può essere, e lo sapevano bene gli uomini di Camaldoli, benigno o più spesso maligno, ma la perfezione della vita umana, con il fondamento sociale dei rapporti basato sul criterio cristianissimo della carità.
 
Che non vuol dire semplicemente fare del bene ai poveri, ma è più esattamente, sulla base della filosofia neotomista che informava il pensiero di Jacques Maritain e di molti dei partecipanti alla riunione camaldolese, Dio è da pensarsi in modo extrafilosofico, non come causa sui, il che lo renderebbe addirittura un “idolo”, ma come lo pensano i semplici, i “poveri di spirito” citati nel discorso di Gesù sul Monte Tabor, quello delle otto beatitudini: Dio è dono, amore, carità.
La metafisica, anche quella che il cattolicesimo moderno ha rielaborato, è talvolta venenum, Dio deve essere “sentito”, “visto”, è, come dirà pochi anni dopo San Jose Marià Escrivà de Balaguer, Gesù che passa un uomo vivo che vive insieme a noi, il Risorto.
La società riguarda il “destino dell’individuo” che è tanto sacro quanto concretissimo. Il cattolicesimo democratico elabora, nell’eremo toscano, una radicale rivoluzione liberale, antistatalista, spirituale, senza aderire certo alla mitologia del mercato, ma accettando in pieno il mercato, la libertà economica, come inevitabile correlato della libera espressione di tutti gli individui.


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